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Redazione di Met
Chiamatelo Ungar
Riccardo Catola prende spunto dalla vista di Ferenc Ungar, profugo della rivoluzione del 1956, per decenni primario ortopedico al Cto di Firenze, per narrare un'epopea novecentesca mitteleuropea
Copertina del libro 'Chiamatemi Ungar'
E’ uscito in libreria per le edizioni Polistampa il romanzo storico del giornalista Riccardo Catola CHIAMATEMI UNGAR, un’avvincente epopea novecentesca mitteleuropea, che prende spunto dalla vista del professor Ferenc Ungar, ungherese di Budapest, profugo della rivoluzione del 1956, per decenni primario ortopedico al Cto di Firenze, oggi console onorario d’Ungheria in Toscana.
“Chiamatemi pure Ferenc. Oppure professor Ungar. La mia storia e quella della mia famiglia incarnano quella della Mitteleuropa del Novecento, il Secolo Breve: fine degli imperi, conflitti mondiali e rivoluzioni, ascesa e caduta dei fascismi, Olocausto, Guerra Fredda, l’incubo dell’atomica, la vittoria della democrazia sulla tirannide. Racconterò tutto nei dettagli, per quanto mi concerne e per quanto la mia vecchia memoria lo consente.”
Questo il drammatico incipit del romanzo, pubblicato con un contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Doveva essere presentato a metà marzo in Palazzo Vecchio su invito del sindaco Nardella, ma la pandemia ha costretto a rinviare il lancio.
Chi è Ferenc Ungar? È appunto un ungherese, di famiglia ebrea, circonciso, ma battezzato protestante da adolescente per sottrarlo alla Shoah. A vent'anni fugge dai carri armati sovietici che avevano invaso il Paese e si rifugia in Italia. Conosce la Roma intellettuale e politica di quegli anni, conquistandosi un futuro come medico di fama.
Scritto in forma di autobiografica a partire da alcune conversazioni con il professor Ungar, il libro narra dunque una vicenda privata che si incrocia e si confonde con la grande Storia, ricordandone le tragedie, ma illuminandola di umanità e mostrando la necessità delle scelte che spesso c’impone.
Poesia e umorismo, abilità letteraria e precisione storica sono le qualità che fanno di Chiamatemi Ungar un'opera vibrante e fuori dagli schemi, un enciclopedico viaggio nelle tenebre d’Europa, uno strumento per conoscere più a fondo, con le passioni di un uomo, l’anima del vecchio continente, dove oggi, benché tra non poche contraddizioni e incertezze, si pratica la forma più alta di civiltà affermatasi nei millenni.
Come scrive Adriano Sofri nella bella recensione sul Foglio pubblicata anche sul sito web dell’ambasciata d’Ungheria, “Catola ha trovato una grand’occasione per rimettere insieme la storia grande e minuta di un secolo e degli europei arrivati fin qua. E ha allargato i cordoni del racconto, senza soggezione. Sissi e Franz Joseph, venerati dal nonno ebreo del protagonista e, specialmente lei, dagli ungheresi che aveva prediletto. Si può riscrivere di Sissi, dunque, e di Bela Kuhn e di Luckàcs e di Kossuth e di Hidegkuti e di Zsa Zsa Gabor.”
“Perfino la Shoah: è stata tanto raccontata, perché non raccontarla ancora una volta? Dopotutto nessun lettore troverà di sapere tutto, di ricordare tutto. Catola ha scritto in prima persona, quella di Ferenc, ma facendone per così dire una prima persona condivisa, una mezzadria letteraria rispettosa delle precedenze”.
C’è, tra i vantaggi della lettura, la scoperta dei tanti emozionanti legami tra le nostre storie più belle e gli ungheresi, scrittori, attrici, calciatori, musicisti, scienziati, filosofie, poeti. Ognuno ha la sua Ungheria e Catola fa di tutto, davvero di tutto, per dare a ciascuno l’Ungheria di cui ha voglia.
“Pagine ricche, profonde”, ricorda nella prefazione lo storico Franco Cardini, “talora anche dure, mai però crudeli, che si fanno tuttavia particolarmente toccanti non tanto nella rievocazione di eventi dei quali Ungar è certo testimone, ma in un’età che rende vago e incerto il ricordo, quanto in quella di momenti decisivi nella sua storia personale e in quella del suo paese, dell’Europa, di tutti noi. E qui, debbo ammetterlo, anzi, desidero affermarlo, le sue vicende si saldano con le mie e rendono singolarmente centrata la scelta di chi mi ha chiesto di vergare queste righe”.
Nell’autunno del ’56 Cardini partì con due compagni di prima liceo alla volta di Budapest, per andare a combattere e morire coi giovani eroi ungheresi. Impresa interrotta, banalmente, prima del Brennero, ma buona da ricordare.

02/07/2020 10.09
Redazione di Met


 
 


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