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Normativa e accesso. L’accesso difensivo ex art. 24 comma 7 L. 241/1990

Configurazione e limiti sul piano motivazionale

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Come è noto l’art. 24 comma 7 L. 241/1990 statuisce che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.“

In punto di accesso difensivo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta con sentenza n. 20 del 25 settembre 2020 e con successiva sentenza n. 4 del 18 marzo 2021. Nella sentenza n. 20 del 25 settembre 2020 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha statuito che “occorrere procedere innanzitutto, sul piano logico giuridico, all’inquadramento generale dell’istituto dell’accesso amministrativo; in secondo luogo a verificare se sia possibile individuare, all’interno della fattispecie giuridica “generale” dell’accesso amministrativo, due ipotesi “particolari ” di accesso agli atti, rispondenti a rationes legis diverse e basate su elementi, requisiti e condizioni di esercizio differenziato; in ultimo, a confrontare la fattispecie amministrativistica dell’accesso agli atti con quella processualcivilistica dell’acquisizione probatoria dei mezzi istruttori, al fine di stabilire, attraverso le assonanze e le dissonanze, quale sia il rapporto giuridico esistente tra le stesse, se cioè i due strumenti giuridici si escludano a vicenda ovvero possano operare in modo concorrente o complementare, o anche alternativo, tra di loro.

Con riguardo al primo profilo, e cioè all’inquadramento generale dell’istituto dell’accesso amministrativo, l’art. 22 comma 2 L. n. 241/1990 contiene una definizione positiva della natura dell’oggetto e della funzione dell’istituto: “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.

La funzione in parola (e cioè l’essere, l’accesso, strumento di partecipazione, di imparzialità e trasparenza), trova una più compiuta definizione contenutistica nel successivo comma 3 dell’art. 22 L. 241/1990, il quale stabilisce il principio della generale accessibilità agli atti, “ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1,2,3,5 e 6.

Nel suo ultimo comma, invece, l’art. 24 L. 241/1990 enuclea un’autonoma funzione dell’accesso, diversa da quella sopradescritta.

Il comma 7 dell’art. 25 L. 241/1990 è infatti netto nello stabilire che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.

L’utilizzo dell’avverbio “comunque” denota la volontà del legislatore di non appiattire l’istituto dell’accesso amministrativo sulla sola prospettiva della partecipazione, dell’imparzialità e della trasparenza, e corrobora la tesi che esistano, all’interno della fattispecie giuridica generale dell’accesso, due anime che vi convivono, dando luogo a due fattispecie particolari, di cui una, (e cioè quella relativa all’accesso c.d. difensivo), può addirittura operare quale eccezione al catalogo di esclusioni previste per l’altra (e cioè, l’accesso partecipativo), salvi gli opportuni temperamenti in sede di bilanciamento in concreto dei contrapposti interessi (vedi Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 7 febbraio 2014 n. 600).

In conclusione sono dunque due le logiche all’interno delle quali opera l’istituto dell’accesso: la logica partecipativa e della trasparenza e quella difensiva.

Ad entrambe è preposto l’esercizio del potere amministrativo, secondo regole procedimentali nettamente differenziate.

La logica partecipativa è imperniata sul principio generale della massima trasparenza possibile, con il solo limite rappresentato dalle esclusioni elencate nei commi 1,2,3,5 e 6 dell’art. 24 della L. 241/1990.

La logica difensiva è costruita intorno al principio dell’accessibilità dei documenti amministrativi per esigenze di tutela e si traduce in un onere aggravato sul piano probatorio, nel senso che grava sulla parte interessata l’onere di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario (o, addirittura, strettamente indispensabile se concerne dati sensibili e giudiziari) per la cura o la difesa dei propri interessi giuridici.

Questo aggravamento probatorio in tanto si giustifica proprio in quanto si fuoriesce dalla stretta logica partecipativa e di trasparenza, per entrare in quella, diversa, difensiva.

La necessità (o la stretta indispensabilità) della conoscenza del documento determina il nesso di strumentalità tra il diritto all’accesso e la situazione giuridica “finale”, nel senso che l’ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, come il tramite – in questo senso strumentale – per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti (principali e secondari) integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica “finale” controversa, e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio.

La corrispondenza ed il collegamento fondano, invece, l’interesse legittimante, che scaturisce dalla sussistenza, concreta ed attuale, quanto meno di una pretesa contestata, che renda la situazione soggettiva “finale” direttamente riferibile al richiedente, concretamente ed obbiettivamente incerta e controversa tra le parti (non essendo sufficiente un’incertezza meramente ipotetica e soggettiva).

Dalle succitate previsioni normative emerge una disciplina dell’accesso difensivo nel senso di esigere la sussistenza del solo nesso di strumentalità tra l’accesso e la cura o la difesa in giudizio dei propri interessi giuridici (vedi art. 24 comma 7 L. 241/1990 s.m.i.), e nel senso di circoscrivere la qualità dell’interesse legittimante a quelle ipotesi che – sole – garantiscono la piena corrispondenza tra la situazione (sostanziale) giuridicamente tutelata ed i fatti (principali e secondari) di cui la stessa fattispecie si compone, atteso il necessario raffronto che l’interprete deve operare, in termini di pratica sussunzione, tra la fattispecie concreta di cui la parte domanda la tutela in giudizio e l’astratto paradigma legale che ne costituisce la base legale.

Il legislatore ha ulteriormente circoscritto l’oggetto della situazione legittimante l’accesso, esigendo che la stessa, oltre a corrispondere al contenuto dell’astratto paradigma legale, sia anche “collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione, e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite.

Questa esigenza è soddisfatta, sul piano procedimentale, dal successivo art. 25, comma 2, L. n. 241/1990, ai sensi del quale “La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata“.

La volontà del legislatore è di esigere che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione (ad es. scambi di corrispondenza, diffide stragiudiziali; in caso di causa già pendente, indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova, ecc.), onde permettere all’amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta, sub specie di astratta pertinenza con la situazione “finale” controversa. In questa prospettiva, pertanto, va escluso che possa ritenersi sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite ad un processo già pendente oppure ancora instaurando.”

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 20 del 25 settembre 2020, ha statuito inoltre quanto segue:

“L’istituto dell’accesso difensivo ed i metodi di acquisizione probatoria previsti dagli artt. 210, 211 e 213 c.p.c. sono complementari.

Deve escludersi che la previsione, negli artt. 210, 211, e 213 c.p.c., di strumenti di esibizione istruttoria, aventi ad oggetto documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, possa precludere l’esercizio dell’accesso documentale difensivo secondo la disciplina di cui alla L. n. 241/1990, nè prima nè in pendenza del processo civile.

Occorre poi ricostruire la disciplina del bilanciamento tra l’interesse all’accesso difensivo dell’istante e la tutela della riservatezza del soggetto controinteressato.

L’art. 24 comma 7 L. 241/1990 prevede un’esclusione dell’accesso basata su un giudizio valutativo di tipo comparativo di composizione degli interessi confliggenti facenti capo al richiedente e, rispettivamente, al controinteressato, modulato in ragione del grado di intensità dei contrapposti interessi ed improntato ai tre criteri della necessarietà, dell’indispensabilità e della parità di rango.

Nel caso di specie non vengono in rilievo nè i “dati sensibili” quali definiti dall’art. 9 del regolamento n. 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio (ossia dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonchè i dati biometrici intesi ad identificare in modo univoco una persona fisica), nè i dati “giudiziari” di cui al successivo art. 10 (cioè i dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza), nè i dati c.d. supersensibili di cui all’art. 60 D. Lgs. n. 196/2003 (cioè i dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona), bensì i dati personali rientranti nella tutela della riservatezza della parte controinteressata.

Pertanto, ai fini del bilanciamento tra diritto di accesso difensivo (preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato) e tutela della riservatezza, secondo la previsione dell’art. 24 comma 7 L. 241/1990, trova applicazione nella fattispecie il criterio generale della “necessità” ai fini della “cura” e della “difesa” di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso difensivo.

Peraltro il controinteressato ha a disposizione tutti gli strumenti procedimentali (opposizione ex art. 3 D.P.R. n. 184/2006) e processuali (impugnazione dell’eventuale atto di accoglimento dell’istanza di accesso dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. a) numero 6) del Codice del processo amministrativo) per difendere la propria posizione contrapposta a quella del richiedente l’accesso, nella pienezza delle garanzie giurisdizionali.

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni deve ritenersi che la previsione, nell’ordinamento processualcivilistico di strumenti di esibizione istruttoria di documenti (anche) amministrativi, ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 c.p.c., non esclude l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo. Infatti, sulla base di una lettura unitaria ed integratrice tra le singole discipline, nonchè costituzionalmente orientata a garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale, da intendere in senso ampio e non ristretto al solo momento processuale, il rapporto tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo ed i menzionati istituti processualcivilistici non può che essere ricostruito in termini di complementarietà delle forme di tutela.”

L’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 4 del 18/03/2021, si è nuovamente espressa sul tema dell’accesso difensivo.

Richiamato sul punto il principio affermato nella sentenza n. 20 del 25 settembre 2020 della medesima Adunanza Plenaria, quanto alla concorrenza tra accesso documentale difensivo e poteri istruttori del giudice civile, la sentenza n. 4 del 18/03/2021 ha affermato che “la natura strumentale dell’accesso difensivo comporta che la necessità del documento deve essere valutata verificando se esso sia effettivamente il necessario tramite per acquisire la prova, e ciò mediante un “giudizio prognostico ex ante“.

A tal fine l’istanza dell’interessato deve essere puntuale e specifica e non limitarsi a dedurre un’ incertezza soggettiva sulla situazione controversa oppure un generico riferimento ad esigenze difensive.

Un primo indirizzo giurisprudenziale, espresso dalle sentenze n. 461/2014 e n. 6444/2018 del Consiglio di Stato, propende per una valutazione ampia dell’istanza di accesso difensivo, vicina negli esiti concreti a quella fatta dal giudice di primo grado, secondo il quale è sufficiente, in ultima, analisi, che la documentazione richiesta abbia “attinenza” con il processo.

Un secondo indirizzo giurisprudenziale, espresso dalle sentenze n. 15868/2013 e n. 2472/2014 del Consiglio di Stato, propende invece per una valutazione che appare più rigorosa, sulla linea seguita dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 20 del 25 settembre 2020.

Secondo tale linea, il soggetto che presenta istanza di accesso difensivo deve spiegare in modo “intellegibile” il collegamento necessario tra la documentazione richiesta e le proprie difese.”

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 3 del 18/03/2021, ha precisato che “dalla previsione della legge n. 241/1990 emerge una disciplina dell’accesso difensivo improntata alla necessità di circoscrivere le qualità dell’interesse legittimante a quelle ipotesi che – sole – garantiscono la piena corrispondenza tra la situazione (sostanziale) giuridicamente tutelata ed i fatti (principali e secondari) di cui la stessa fattispecie si compone, atteso il necessario raffronto che l’interprete deve operare, in termini di pratica sussunzione, tra la fattispecie concreta di cui la parte domanda la tutela in giudizio e l’astratto paradigma legale che ne costituisce la base legale.

La volontà del legislatore è di esigere che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione (ad es. scambi di corrispondenza; diffide stragiudiziali; in caso di causa già pendente indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova; ecc.), così da permettere all’amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie con la situazione “finale” controversa.

Come l’Adunanza Plenaria ha già chiarito nella sentenza n. 20 del 25 settembre 2020, l’art. 24 comma 7 L. 241/1990 prevede che l’eventuale rigetto od accoglimento dell’istanza di accesso difensivo deve essere basato su di un giudizio valutativo di tipo comparativo, di composizione degli interessi confliggenti facenti capo al richiedente e, rispettivamente, al controinteressato, modulato in ragione del grado di intensità dei contrapposti interessi ed improntato ai tre criteri della necessarietà, dell’indispensabilità e della parità di rango.

Nel caso in esame non vengono in rilievo nè i “dati sensibili” quali definiti dall’art. 9 del Regolamento n. 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio (e, cioè, i dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonchè i dati biometrici intesi ad identificare in modo univoco una persona fisica) nè i dati “giudiziari” di cui al successivo art. 10 (e, cioè, i dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza), nè i dati cc.dd. supersensibili di cui all’art. 60 del D. Lgs. n. 196 del 2003 (cioè i dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona), bensì dati personali rientranti nella tutela della riservatezza della parte controinteressata.

Ebbene, ai fini del bilanciamento tra il diritto di accesso difensivo, preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato, e la tutela della riservatezza (nella specie, cd. finanziaria ed economica), secondo la previsione dell’art. 24 comma 7 della L. 241/1990, non trova applicazione nè il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) nè il criterio dell’indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cc.dd. supersensibili), ma il criterio generale della “necessità” ai fini della “cura” e della “difesa” di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali – di cui si è detto – dell’accesso documentale difensivo.

Se così è, come l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha già precisato nella sentenza n. 20 del 25 settembre 2020, è chiaro che il collegamento tra la situazione legittimante e la documentazione richiesta, ritenuto necessario nella detta Adunanza Plenaria, impone un’attenta analisi della motivazione che la pubblica amministrazione ha adottato nel provvedimento con cui ha accolto, o, viceversa, respinto, l’istanza di accesso difensivo.

Soltanto attraverso l’esame di detta motivazione è infatti possibile comprendere se questo collegamento, nel senso sopra precisato, esista effettivamente, e se l’esigenza di difesa rappresentata dall’istante debba o meno prevalere sul contrario interesse alla riservatezza del controinteressato, nel delicato bilanciamento tra i valori in gioco”.

L’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 4 del 18 marzo 2021, ha quindi di seguito affermato il seguente principio di diritto: “in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della L. n. 241 del 1990, si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie o difensive, siano esse riferite ad un processo già pendente oppure ancora instaurando, poichè l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio, sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare“.

Nell’ipotesi di causa pendente innanzi al Giudice civile, l’interessato può peraltro avvalersi degli ordinari strumenti processualcivilistici (artt. 210, 211 e 213 c.p.c.) per ottenere i documenti necessari, attraverso la loro esibizione in giudizio, che può essere disposta dal Giudice.

Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza, inoltre, la valutazione della “necessità” della difesa degli interessi giuridici va accertata in concreto (Consiglio di Stato sentenza n. 1568/2013, n. 117/2011, 3936/2019; Tar Firenze n. 1212/2018), ed in modo rigoroso, con un’attenta valutazione da effettuarsi caso per caso, sul presupposto che vi sia una lesione certa, concreta ed attuale degli interessi giuridici, così da rendere effettivamente necessaria l’ostensione del documento.

In altri termini e sul piano pratico, l’ accesso difensivo ex art. 24 comma 7 L. 241/1990 può prevalere sull’interesse al riserbo soltanto quando la “necessità di difesa” emerga “in modo chiaro ed evidente” dagli atti prodotti dal richiedente con l’istanza di accesso, essendo suo preciso onere dimostrare, in base al contenuto proprio degli atti della procedura in relazione alla quale deve svolgersi il diritto di difesa, l’effettiva necessità e rilevanza dei documenti richiesti a fini difensivi (Consiglio di Stato sentenza n. 1568/2013).

Sulla base del suddetto prevalente orientamento giurisprudenziale, la giurisprudenza ha statuito, ad esempio, che “Una richiesta di accesso ai dati reddituali di un altro soggetto detenuti dall’Agenzia delle Entrate nell’anagrafe tributaria (dichiarazione dei redditi, contratti di locazione registrati, ecc.), per esigenze di difesa connesse ad un procedimento giudiziario di risoluzione di un contratto di locazione, può essere accolta soltanto se il richiedente fornisca la prova della concreta correlazione di detti documenti con il giudizio pendente” (TAR Napoli n. 3125/2018); “una richiesta di accesso ai dati identificativi delle imprese facenti parte di un campione utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per l’accertamento induttivo del reddito (denominazione, sede, codice fiscale, ecc.), giustificata dal contribuente sulla base di esigenze di difesa connesse ad un procedimento giudiziario pendente con la stessa Agenzia delle Entrate, può essere accolta soltanto se il richiedente fornisce la prova dell’utilità concreta nel processo, non essendo sufficiente invocare generiche esigenze difensive” (Tar Firenze n. 1212/2018); “un’associazione di categoria rappresentativa delle aziende operanti nel settore del gioco lecito che è in causa civile con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per questioni riguardanti la corretta ripartizione degli oneri da versare allo Stato non è legittimata ad accedere agli atti da cui risultino i dati relativi alla raccolta del gioco lecito in quanto essi non risultano funzionali a dimostrare la tesi giuridica avanzata in sede civile, atteso che l’adesione all’una o all’altra tesi dipende esclusivamente dall’interpretazione delle norme..” (Consiglio di Stato n. 1492/2021); l’istanza di accesso difensivo ex art. 24 comma 7 L. 241/1990 al materiale informatico (corrispondenza con enti pubblici) utilizzato dai giornalisti RAI per la preparazione di una trasmissione televisiva non può essere accolta se il richiedente non spiega le ragioni per le quali la conoscenza di detto materiale è necessaria per tutelare il suo diritto all’onore, anche considerato che si tratta di documentazione preparatoria che non è destinata ad essere diffusa all’esterno (Consiglio di Stato n. 2655/2022); l’appaltatore che ha in corso una causa civile contro l’Amministrazione per contestare la risoluzione del contratto per inadempimento non ha diritto di accedere all’elenco dei componenti della Commissione che ha segnalato i disservizi se non dimostra una connessione ed una correlazione di causa effetto tra la conoscenza dei documenti richiesti e le esigenze difensive del giudizio pendente, considerato che la Commissione è composta anche da soggetti esterni, la cui identità personale è protetta dalla normativa a tutela della privacy, anche ad evitare ritorsioni (Consiglio di Stato n. 6639/2022); il soggetto sottoposto ad un procedimento sanzionatorio da parte dell’Autorità antitrust non ha diritto ex art. 24 comma 7 L. 241/1990 di accedere al curriculm vitae ed al provvedimento di nomina del responsabile del procedimento al fine di verificare la sussistenza di eventuali conflitti di interesse se detta circostanza sia prospettata in via del tutto ipotetica, senza allegare e dimostrare alcuna condizione in tal senso (Tar Roma n. 11507/2022, così riformata da Consiglio di Stato n. 2193/2023).

Fonti:sentenza n. 20 del 25 settembre 2020 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato; sentenza n. 4 del 18 marzo 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato; sentenza n. 2472 del 14 maggio 2014 della Sezione IV del Consiglio di Stato; sentenza n. 15868 del 15 marzo 2013 della Sezione VI del Consiglio di Stato.

a cura di Lina Cardona

18/07/2024 12.45
Città Metropolitana di Firenze