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IL RITORNO DEL "ROSSO DI MONTELUPO"
Ritorna dopo cinque secoli un capolavoro della maiolica rinascimentale italiana: un bacile di straordinaria ricchezza cromatica e decorativa datato 1509.
Donato al Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo, sarà esposto eccezionalmente a Firenze in Palazzo Medici Riccardi dal 21 febbraio al 21 marzo, per poi essere collocato definitivamente nel museo.

Il Rosso di Montelupo

La preziosa maiolica rinascimentale detta Rosso di Montelupo sarà esposta, insieme ad altri esemplari coevi, da sabato 21 febbraio, inaugurazione ore 11.00, a domenica 21 marzo nella sala Luca Giordano di Palazzo Medici Riccardi. L’iniziativa è resa possibile dalla Provincia di Firenze, dal Comune di Montelupo Fiorentino e dal Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo che proseguono così la collaborazione iniziata in occasione della mostra “Capolavori della Maiolica Rinascimentale” del 2000.
Il Rosso di Montelupo, cosiddetto per il particolare pigmento rosso usato nella decorazione, la cui composizione rimane ancora oggi un mistero, faceva parte della collezione Gustave de Rothschild di Parigi per poi appartenere all’antiquario e collezionista francese Alain Moatti. Il “Rosso”, completamente integro e di straordinaria bellezza, è stata acquistato e donato al Museo con fondi messi a disposizione dal Comune di Montelupo Fiorentino e da alcuni sponsor privati, tra cui le più importanti fabbriche di ceramica del territorio. L’importante acquisizione è stata decisa in vista della realizzazione del nuovo Museo della Ceramica di Montelupo, che riunirà nei suoi 2.500 metri quadrati espositivi il meglio della produzione ceramica montelupina proveniente sia da scavi che da acquisizioni o donazioni da importanti collezioni.
A Firenze “il Rosso” sarà affiancato da quattro maioliche che testominiano il contesto storico-culturale in cui si inserisce l’opera. Si tratta di tre piatti ed un boccale decorati con stemmi di famiglie fiorentine, databili tra il 1500 e il 1520, provenienti dal Museo Montelupo. I pezzi in mostra ben testimoniano il periodo “d’oro” della ceramica montelupina quando, nel Quattrocento e Cinquecento, la cittadina valdarnese diviene il centro di produzione della ceramica per Firenze. E’ il momento delle grandi forniture nobiliari: dai serviti da mensa per le grandi famiglie fiorentine (Strozzi, Medici, Minerbetti, Peruzzi, Pandolfini, Pucci, Machiavelli, Corsini, ecc.) ai serviti "alla porcellana”, come quello per Clarice Medici Strozzi moglie di Filippo, dove la maiolica fiorentina deve competere con la porcellana cinese importata dall'Oriente.

Con il Rosso di Montelupo siamo di fronte ad uno dei capolavori della maiolica rinascimentale italiana, sia per lo straordinario stato di conservazione (il bacile è integro nonostante i quasi cinquecento anni) che per la tecnica e la ricchezza cromatica e figurativa.
Datato 1509, fu realizzato in una delle più importanti botteghe montelupine (attiva dalla fine del Quattrocento fino agli anni trenta del Seicento) quella di Lorenzo di Piero di Lorenzo Sartori la cui marca “LO” è elegantemente dipinta sul retro del bacile. Il pigmento rosso usato nello sfondo, da cui prende il nome e la cui composizione è al momento sconosciuta, è da mettere in relazione ai rapporti commerciali che si vennero a creare con i ceramisti della città turca di Iznik (l’antica Nicea), attraverso i mercanti fiorentini che esportavano la ceramica di Montelupo in tutto il bacino mediterraneo e nelle rotte atlantiche. La similitudine è talmente forte da far pensare che si tratti della medesima materia prima, forse un ossido di manganese ricco di arsenico, importato dall’Anatolia e trattato secondo i dettami del luogo. La decorazione “a grottesca” e le scelte cromatiche avvicinano questa maiolica alla produzione senese del primo decennio del Cinquecento, in particolare a quella attribuita alla figura del cosiddetto “pittore di Nesso”, i cui lavori sono per la maggior parte conservati al Victoria and Albert Museum di Londra. Inoltre lo stesso tipo di linguaggio decorativo (i delfini, i putti-cherubini, i fili di perle sospese) si trova particolarmente sviluppato nel pavimento di Palazzo Petrucci a Siena (il palazzo di Pandolfo Petrucci, signore di Siena dal 1480 al 1512, detto anche “il Palazzo del Magnifico”) ed appare significativo che sia datato 1509, lo stesso anno in cui viene realizzata la maiolica montelupina. Nonostante la vicinanza con le migliori produzioni senesi del tempo, non sussiste alcun dubbio che il “Rosso” sia di “LO” sia per la marca, che per il ritrovamento di frammenti dipinti “a grottesca” su fondo giallo e oro, proprio nello scarico della fornace di Lorenzo collocata nell’area del Castello di Montelupo. Dunque il “Rosso” ci indica dell’esistenza di una linea di contiguità tra i pittori senesi dell’inizio del Cinquecento ed i vasai di Montelupo, nel momento in cui la pittura su smalto toccò uno dei suoi vertici più alti. Infine siamo a conoscenza dell’esistenza di un pendant del “Rosso”, del tutto simile, anch’esso datato 1509 e decorato “a grottesche” su fondo rosso e giallo, appartenuto alla collezione Rothschild, di cui non ci sono notizie recenti (fu pubblicato nel 1933 da Ballardini nel suo Corpus della maiolica italiana).
In occasione della mostra di Firenze, per favorire la conoscenza del Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo, sarà possibile per chi si presenta con il biglietto di Palazzo Medici Riccardi, visitare il museo con un ingresso scontato del 50%.

ROSSO DI MONTELUPO

Palazzo Medici Riccardi
21 febbraio- 21 marzo 2004

Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo
Collezione permanente dal 9 aprile 2004


Curatore,
direttore del Museo di Montelupo: Fausto Berti

Informazioni: Ufficio Turistico del Comune di Montelupo e
Biglietteria Museo
Tel. 0571.51352 - 518993

Segreteria: Museo Montelupo
Tel. 0571.51087/51060 – fax 0571.51506

Ufficio Stampa:Ambra Nepi Comunicazione
Tel. 055-24.42.17- 24.27.05
e-mail: ambranepicom@tin.it

Servizi Mostra

Palazzo Medici Riccardi, Firenze 21 febbraio – 21 marzo 2004, Firenze, Palazzo
Orari: ore 9.00 - 19.00, tutti i giorni
Chiusura mercoledì
Biglietto: ingresso a Palazzo Medici Riccardi
intero, € 4,0 ridotto € 2,50

Museo Archeologico
e della Ceramica di Montelupo
Dal 9 aprile sarà esposto in maniera permanente
Tel.0571-51352 – 0571.518993
www. museomontelupo.it
orario apertura: dal martedì alla domenica (chiusura lunedì) 10.00/18.00
biglietto: intero € 3, ridotto € 1,5 o 2

DURANTE IL PERIODO DELL’ESPOSIZIONE FIORENTINA PRESENTANDO IL BIGLIETTO DI PALAZZO MEDICI RICCARDI SARA’ POSSIBILE ENTRARE AL MUSEO DI MONTELUPO CON UNO SCONTO DEL 50%

Il “Rosso di Montelupo”
Scheda tecnica-descrittiva
A cura di Fausto Berti, direttore del Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo

Il bacile rappresenta uno dei capolavori della bottega di Lorenzo di Piero di Lorenzo, la cui marca è elegantemente dipinta al rovescio, entro una corona di ovali barrati orizzontalmente d’arancio.
L’esuberante decorazione che si distende sul lato a vista di questa maiolica è completamente risolta in una teoria di figurette “a grottesca”, ad iniziare dalla minuscola cerchiatura “a ghirlanda” del centro, che racchiude, come una sorta di cammeo dipinto di blu intenso, una testa di putto tra due cornucopie stilizzate, sormontata da un cesto di frutta, su cui si posa un grande uccello.
Bacile piano a media tesa; vasca bassa a ricasco carenato, umbonatura e piccola cerchiatura centrale in rilievo. Integro. La forma non è usuale alla produzione montelupina dell’inizio del XVI secolo; essa sembra derivare piuttosto dalla metallotecnica, ed in particolare dai cosiddetti “bacili d’acquareccia”, muniti di versatore, che servivano per il lavaggio delle mani. La smaltatura copre l’intero corpo ceramico, estendendosi anche al rovescio.
Altre testine simili a questa – ma qui munite di alucce dipinte di giallo – si compongono in una teoria continua, intervallata da coppie di cornucopie e volute vegetali in alternanza; l’insieme è posto su di un fondale campito di rosso sanguigno, con il quale si stringe il disco centrale, occupando così la restante porzione del fondo umbonato: coppie di delfini affrontati, realizzati a risparmio sul fondo, ma sottolineati d’azzurro e di verde, e fili di perle pendenti, nobilitano questa parte della composizione. Sul breve ricasco carenato si diffonde poi una fascia di armi e trofei su fondo arancio, formata da scudi, corazze, armi, tamburi e teste leonine, i cui elementi parzialmente si sovrappongono, comprendendo anche due targhe, poste in posizione simmetrica, con la scritta “SPQR”.
Ma è sull’ala del bacile che l’artefice al quale si deve questo documento fornisce il saggio di una rappresentazione nuova ed inusitata nella pittura montelupina su smalto. La composizione che qui egli realizza si incentra infatti su due gruppi figurati, i quali si alternano nell’ingiro della tesa. In uno è rappresentata una coppia di putti che sembrano sostenere con una mano un filo di perle, mentre con l’altra impugnano una sorta di bastone, il cui apice assume la forma della testa di un delfino. Lo spazio racchiuso nella parte inferiore della figurazione è campito di rosso e circonda la figuretta di un granchio, il quale a sua volta sostiene con le sue chele una targa epigrafica – ove in due casi sta scritto “SPQR”, ed in altri due “SPQF” (il riferimento al “popolo fiorentino” è trasparente) – mentre la parte superiore, dipinta di giallo, ha al centro un vaso stilizzato.
Più ampia è complessa si rivela infine l’altra scena figurata, nel cui centro si presenta una tipica “grottesca”, formata da una testa perlinata alle chiome su fondo blu, che sembra colta nell’atto di emettere un grido (un richiamo iconografico alla cosiddetta “bocca della verità”?), e si pone sopra una minuscola targa datata “1509”; essa è sovrastata da faci fiammeggianti, nobilitate da un tendaggio disteso in senso orizzontale su fondo giallo, da cui pendono coppie di vasi, armi e scudi. Ai lati della “grottesca” si pongono altre due coppie di figure divergenti, che nella parte inferiore sembrano uscire dalla bocca di volute dalla testa di drago (o di delfino che dir si voglia). Poggiando su di esse, piccoli geni alati di rosso si piegano lateralmente, tenendo in mano una tartaruga con la testa orientata verso il basso; in tal modo essi sembrano mostrare l’animale ai due putti che li fiancheggiano, e che si voltano all’indietro, come per rispondere al richiamo. Negli spazi riempiti di rosso, sui quali campeggiano le tartarughe, sono infine dipinte, in proporzioni quasi miniaturistiche, altre targhe epigrafiche campite di giallo con scritte “SPF”, “SPR” e la data “1509”.
Nonostante la sua eccezionalità, questo documento trova un pendant in un piatto parimenti decorato “a grottesche” su fondo rosso e giallo della collezione Rothschild, anch’esso datato “1509”, che il Ballardini pubblicò nel suo Corpus della maiolica italiana (Ballardini 1933, vol. 1 n. 31); di esso non ci è dato sfortunatamente di possedere alcuna riproduzione a colori. Sembra comunque di capire dalla fotografia a suo tempo pubblicata che questo bacile – il quale ha evidentissimi punti di contatto con il precedente, sia nell’iconografia (vi sono persino le tartarughe appese a testa in giù!), sia nei particolari strutturali (identica è la sottolineatura “a perle” del cerchio centrale) – presenti una fascia di contorno in rosso, giallo e blu, del tutto simile a quello che qui si descrive.
Il richiamo alla coeva produzione senese, ed in particolare a quella concentrata dal Rackham attorno alla personalità del cosiddetto “pittore di Nesso” (Rackham- Mallet 1977, vol. 1 pp. 175-76), emerge con grande nettezza in questo documento, sia per l’adozione di un linguaggio formale fortemente attratto dalla tematica della “grottesca”, sia per le scelte cromatiche del suo artefice, il quale mostra una particolare familiarità nel realizzare i suoi sfondi in un blu intenso, ricavando da esso figurette “a risparmio”, e nel campire d’arancio brillante le fasce decorative.
Un simile linguaggio decorativo si trova particolarmente sviluppato in Siena nel pavimento maiolicato del palazzo Petrucci – si vedano in particolare i “delfini” che si originano dai girali, i putti-cherubini, i fili di perle sospese – ed appare significativo il fatto che questo complesso pavimentale sia datato al medesimo anno 1509 in cui fu realizzata anche la maiolica montelupina.
Nonostante la sua vicinanza con le migliori produzioni senesi del tempo, non sussiste dubbio alcuno sul fatto che questo documento sia uscito dalla fornace di Lorenzo di Piero Sartori: oltre alla marca, ben visibile al rovescio, tale appartenenza è infatti sottolineata dal ritrovamento di frammenti con decoro “a grottesca” su fondo giallo e rosso, dipinti dalla medesima mano, rinvenuti proprio nello scarico primo-rinascimentale di quella fornace, collocata nei pressi della Piazzetta dei gelsi, nell’area del Castello di Montelupo (Berti 1998, p. 283 tav. 108 e p. 222 nota 46).
In questi reperti si nota un’ulteriore versione delle elaborate composizioni sviluppate nel pavimento Petrucci, tra cui un’erma con le ali da libellula, la quale trova confronti evidenti in alcune figurette alate del medesimo complesso pavimentale senese. Ben più simile a questo documento, risulta però una scodella dalla forma prossima a quella del nostro bacile, nel cui centro si rappresenta San Girolamo nel deserto (Rackham-Mallet 1977, vol. 2 plate 60 n. 380). Tale maiolica, inserita dal Rackham tra le opere del suo Nessus painter, trova palmari riscontri con i frammenti di scavo di Montelupo: identica, infatti, è una parte essenziale della composizione di contorno dei due documenti, incentrata su di una figura alata che, sorgendo da volute vegetali, sorregge due cesti ricolmi di frutta, ai quali accorrono uccelli dalle lunghe piume. Altri particolari, tra cui il motivo dell’ovale alternato al dardo – che rappresenta il contorno del pavimento Petrucci – la cerchiatura con il “filo di perle” del fondo e, persino, le minute archeggiature della cerchiatura, identiche a quelle del cavetto eponimo con il centauro Nesso (Rackham-Mallet, vol. 2 plate 59 n. 379), ci conducono senza possibilità d’errore verso l’orizzonte culturale senese della fine del primo decennio del Cinquecento.
Questo prezioso documento, dunque, indica l’esistenza di una linea di contiguità tra i pittori operanti in Siena nel momento in cui la pittura su smalto toccò uno dei suoi vertici più alti ed i vasai di Montelupo. Di tali rapporti è restata traccia nelle scritture d’archivio, ma da queste fonti si possono trarre per il momento solo modeste indicazioni, sostanzialmente relative alla normale mobilità della manodopera tra centri di produzione.
La chiave interpretativa di quanto si mostra nel bacile che fu della collezione Rothschild (e dei materiali che ad esso si collegano) potrebbe utilmente ricercarsi proprio nell’impresa del pavimento Petrucci, visto che questa famiglia ebbe importanti possessi nella zona di Montelupo, mantenendo anche documentati rapporti – per la vendita di legname, per la proprietà di mulini, ma forse anche per la partecipazione ad imprese commerciali – con i ceramisti del luogo.

Con la presentazione, nella sala di Luca Giordano in Palazzo Medici Riccardi del prezioso “Rosso di Montelupo“ la Provincia di Firenze dà seguito a quella positiva collaborazione con il Museo archeologico e della ceramica di Montelupo e con il Comune di Montelupo Fiorentino avviata due anni fa con la mostra “Capolavori della maiolica rinascimentale“.
La sala di Luca Giordano va sempre più assumendo la vocazione di “contenitore spettacolare“ ove in particolari e prestigiose circostanze possono essere offerti alla visione del vasto pubblico che lo visita capolavori di grande richiamo – recentemente abbiamo ammirato il “Kouros Milani“ prestato dal Museo Archeologico di Firenze in occasione della mostra “L’isola dei Tesori“ – in una logica di arricchimento e di ulteriore valorizzazione di un percorso museale di già notevole prestigio.
Rafforziamo poi, con iniziative come questa, la funzione di “vetrina del territorio“ di Palazzo Medici Riccardi come momento che ben si inserisce in un complesso di iniziative su cui l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Firenze è fortemente impegnato tese ad utilizzare tutti i mezzi disponibili – dal web, ai cataloghi, alle guide ed alle mostre – far conoscere al grande pubblico le bellezze che fanno del nostro territorio un qualcosa di unico nel mondo.
Ben venga quindi il “Rosso di Montelupo“ a rafforzare queste strategie e a dimostrare, come dimostrerà la piccola mostra di ceramica contemporanea allestita nella Sala Sonnino che la tradizione della ceramica di Montelupo, partita da lontano, arriva con successo, sino ai giorni nostri.

Elisabetta Del Lungo
Assessore alla Cultura della Provincia di Firenze

La comunità di Montelupo Fiorentino, città della ceramica, è orgogliosa di annunciare che il “Rosso di Montelupo” è tornato nel luogo in cui fu realizzato cinquecento anni fa e sarà esposto al Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo. Si tratta di un oggetto maiolicato, realizzato da una delle più fiorenti botteghe rinascimentali montelupine, un bacile decorato a grottesche su un rarissimo sfondo rosso. Un emblema della splendida stagione aurea della nostra produzione, un mito per Montelupo perché riporta dipinto il nome della città, la data della realizzazione, il nome della fabbrica, le iniziali SPQF con chiaro riferimento a Firenze.
Le opere che testimoniano la grandezza della tradizione ceramica di Montelupo nel Rinascimento sono oggi tutte inserite in patrimoni museali sparsi per il mondo, come abbiamo visto in occasione della mostra “I capolavori delle maioliche rinascimentali”, che si è tenuta nel 2002 sempre a Palazzo Medici Riccardi. Ma questo piatto, eccezionalmente non era ancora stato musealizzato ed era dunque disponibile sul mercato antiquario.
L’amministrazione comunale, in occasione delle celebrazioni dell’Ottocentesimo anniversario della sua fondazione, ha deciso di acquistarlo, consapevole delle limitate possibilità per un piccolo ente locale, ma allo stesso tempo certa del favore con cui la popolazione vede questo investimento. Lo abbiamo deciso controcorrente, in un momento in cui prevalgono tendenze opposte, in cui lo stato sembra impegnato piuttosto a vendere il patrimonio pubblico, compresi i beni artistici e culturali. E questo è un altro motivo di orgoglio.
Abbiamo chiesto e ottenuto anche fondamentali aiuti da operatori che si sentono legati alla nostra comunità e ai quali è piaciuta l’operazione. Insieme ad alcuni di loro abbiamo pattuito l’erogazione di un contributo interamente deducibile dal punto di vista fiscale, in base ad una legge varata nel 2000 dal precedente governo, sicuramente oggi troppo poco applicata. Noi tra l’altro speriamo che il nostro esempio sia imitato e che moltissimi altri investimenti possano essere effettuati con i vantaggi offerti a nuovi “mecenati” che possono decidere dove impiegare i loro oneri fiscali.
E così abbiamo incontrato la partecipazione dei ceramisti: due aziende della ceramica artistica, Virginia e Ceramiche Toscane, sono tra gli sponsor principali, mentre altre più piccole hanno contribuito per quello che hanno potuto. A loro si sono unite, come sponsor principali, altre importanti aziende: Unicoop Firenze, Consorzio Etruria e Banca di Credito Cooperativo di Cambiano di Castelfiorentino. L’intera comunità di Montelupo deve loro un sentito ringraziamento.
Allo stesso tempo voglio ringraziare l’amministrazione provinciale che ha voluto darci una mano, come in altre occasioni, comprendendo subito la particolarità dell’evento; grazie infine al Direttore del Museo, Fausto Berti, e a tutti gli altri collaboratori interni ed esterni della amministrazione comunale.

Marco Montagni
Sindaco di Montelupo Fiorentino

Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo

Per lunghi anni di Montelupo Fiorentino si conosceva solo la produzione ceramica del '600, caratterizzata dai famosi arlecchini o mostacci, grandi piatti decorati con figure di dame e gentiluomini. Nel 1973 durante alcuni lavori pubblici nel centro storico, venne casualmente scoperto il cosiddetto "pozzo dei lavatoi": un antico pozzo idrico abbandonato e colmato di terra e scarichi di fornace. Dal pozzo furono “estratti” 300 esemplari ceramici, databili tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento.
A seguito di questo importante ritrovamento, è stata realizzata una campagna sistematica di scavi che ha portato alla ricostruzione della storia della ceramica di Montelupo, dimostrando come Montelupo sia stato uno dei maggiori centri ceramici europei dell’antichità, attivo dal Medioevo fino all'Età Moderna, e soprattutto il centro di produzione della ceramica di Firenze per tutto il Quattrocento e il Cinquecento.
Il Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo è il risultato di questa campagna sistematica di scavi. Il museo nasce nel 1983 con sede nello storico Palazzo del Podestà. Al suo interno sono conservati circa 4.000 esemplari ceramici, altrettanti sono nei depositi, in grado di documentare l'attività ceramica di Montelupo dal Basso Medioevo alla fine dell'Età Moderna. L’esposizione è organizzata secondo un criterio cronologico e molti dei pezzi esposti sono stati oggetto di un reintegro pittorico. Una sezione didattico-introduttiva, con la tecnologia della ceramica antica e l'analisi storica delle varie tipologie prodotte, precede l’esposizione vera e propria.
Nel primo e nel secondo piano è esposta la produzione ceramica di Montelupo dalle sue origini fino al XVIII secolo.


Sede: Via Bartolomeo Sinibaldi, 43
Apertura: tutti i giorni, escluso il lunedì
Orari 10.00-18.00
Costo biglietto ingresso intero € 3 ridotto € 1,5 o 2
visite guidate per scolaresche e gruppi turistici, anche in lingua
Per informazioni: telefono 0571/ 51352
www.museomontelupo.it

QUADRO STORICO e STILISTICO

XIII sec.

Dal 1203 Firenze, nella sua prima fase d’espansione, trasforma Montelupo da piccolo insediamento militare, dipendente dai conti Alberti di Capraia, in un castello abitato.
Già sul finire del XIII secolo le fornaci montelupine iniziano a fabbricare maioliche arcaiche con decorazioni in bicromia verde-bruno (ramina e manganese). Questo tipo di produzione si svilupperà notevolmente nel corso del Trecento.

1370-1470

Attorno all'ultimo ventennio del Trecento, Montelupo, assieme al vicino villaggio di Bacchereto, diventa il motore del rinnovamento, sia tecnologico che formale, della maiolica fiorentina. I due centri introducono nuovi impasti ceramici, di colore biancastro, che consente una migliore smaltatura del biscotto (detto all’epoca bistugio) facendo assumere alla maiolica una superficie candida e brillante.
Tra l'ultimo quarto del Trecento e i primi trent'anni del Quattrocento, Firenze attraversa una fase storica molto importante che la vede trasformarsi da città medievale, con un controllo sul circostante contado, nel Centro di un vero e proprio stato regionale.
Tre sono le date cruciali che segnarono l'espansione fiorentina: 1384, conquista di Arezzo; 1406, conquista di Pisa; 1421, acquisto di Livorno.
In particolare la conquista di Pisa e l'acquisto della città di Livorno, garantiscono a Firenze lo sbocco sul mare e quindi la condizione fondamentale per lo sviluppo economico dei commerci e di conseguenza delle manifatture.
Con la trasformazione di Pisa e Livorno in "porti fiorentini", l'Arno diviene la principale via di trasporto per le merci da e per la città di Firenze. Montelupo posta lungo l’Arno, sull'asse degli scambi internazionali, conosce in breve tempo un forte sviluppo (in pochi anni le botteghe ceramiche aumentano notevolmente di numero) e diviene la “fabbrica” di Firenze per le ceramiche.
Tra il 1410 e il 1470 i ceramisti montelupini entrano in contatto con la tradizione islamica sia dell’area orientale che occidentale del mediterraneo e ne assorbono i motivi decorativi e le tecnologie. Un evidente effetto di questo processo è l’abbandono della bicromia verde-bruno della maiolica arcaica (ramina e manganese) e l’impiego, sempre più massiccio, del blu cobalto, detto zaffera a rilievo. Sono questi gli anni in cui viene elaborato lo stile, detto dalle fonti storiche, “damaschino” (da Damasco di Siria, centro delle arti decorative, ma anche grande mercato delle ceramiche orientali), sintesi formale tra le forme decorative di matrice islamica, da tempo veicolate dalle ceramiche a lustro mediorientali e nordafricane, e i motivi propri dell’arte mudéjar, che ebbe uno straordinario campo di diffusione nella pittura su maiolica dei centri del Levante spagnolo e in quelli dell’area di Valencia (Manises e Paterna). In particolare la ceramica di Montelupo è influenzata dalla produzione di Manises (Valencia), di cui erano diretti concorrenti nel Mediterraneo, per la tecnica del lustro metallico e il decoro a foglia valenzana. La produzione degli anni 1440-60 mostra un rapido superamento degli schemi decorativi di ispirazione islamica e la ricerca di un nuovo linguaggio formale che condurrà al successivo “stile rinascimentale”.

Tra gli anni 60-70 i soggetti principali delle maioliche cominciano ad essere eseguiti in scene sempre più articolate e complesse, inseriti in ambientazioni "naturalistiche" (linea del terreno, dell'orizzonte, dell'azzurra superficie del cielo). Un’evidente evoluzione stilistica verso una pittura su ceramica di tipo realistico che precede di qualche anno la rottura con i vecchi schemi e la diffusione della nuova sensibilità rinascimentale. Gli elementi decorativi di riempimento e di contorno continuano invece ad essere ispirati al repertorio islamico.
L’inizio della policromia, che varia decisamente il contenuto della “tavolozza fredda”, tipico della prima metà del XV secolo, diviene uno dei fattori emblematici di questo cambiamento. Ma è con l’introduzione della spazialità che si pongono definitivamente le basi per l’ingresso nella pittura su maiolica dei valori formali del Rinascimento.

1470-1530

Nasce quello che sarà riconosciuto come il linguaggio figurativo italiano su maiolica, più propriamente indicato come "stile rinascimentale", che influenzerà nel corso del Cinquecento altre esperienze europee, soprattutto Francia e Olanda.
I maestri ceramisti di Montelupo saranno tra i primi creatori del linguaggio figurativo su maiolica in Italia proprio grazie alla “vicinanza” con Firenze.
Tra il 1470 ed il 1500 può collocarsi l'inizio dell’epoca d'oro della produzione smaltata di Montelupo, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo; questa fase di crescita si protrarrà fino al 1530 circa. E’ questo il momento delle grandi forniture nobiliari, come quella del servito "alla porcellana" per Clarice Medici Strozzi, moglie di Filippo Strozzi, dove il prodotto toscano deve reggere il confronto diretto con le porcellane cinesi importate dall'Oriente. E’ anche il momento delle committenze di potenti famiglie fiorentine e d’importanti ordini religiosi. Serviti per uso da mensa con gli stemmi di banchieri e mercanti: Strozzi, Medici, Minerbetti, Peruzzi, Pandolfini, Pucci, Machiavelli, Corsini, ma anche piatti con imprese araldiche come quella di Filippo Strozzi in cui un falco strappa i germogli che ributtano da un tronco d’albero.
La fama che la ceramica di Montelupo raggiunse in questo periodo è testimoniata anche dal ritrovamento di alcune “maioliche belle di Montelupo” tra gli oggetti personali di Lorenzo Il Magnifico, alla sua morte.
L’uso di commissionare serviti da mensa nel Cinquecento è legato anche al modo diverso di stare a tavola. Intorno al 1480 si comincia ad usare un piatto individuale al posto del piatto collettivo, detto tagliere, che veniva usato da 3 o 4 persone. Fino ad allora sulla tavola centrale si usava un bacile che conteneva un pezzo di carne intero che veniva poi spezzettato e messo sui taglieri. Oltre al piatto individuale, sulla tavola cominciano ad essere usati altri elementi in ceramica come boccali, ciotole per liquidi e salse, saliere e alzate. Molto raro è invece l’uso del bicchiere di ceramica.
In questa fase, oltre al completo sviluppo del primo stile rinascimentale, si registra anche la massiccia introduzione del capitale mercantile fiorentino nelle attività ceramiche del centro valdarnese. Il connubio tra capitale mercantile fiorentino e ceramica di Montelupo (1490-1520) produce un incremento delle esportazioni.
Da questo momento in poi la ceramica di Montelupo è presente non soltanto nel bacino del Mediterraneo (dalla Grecia al Marocco, dalla Francia meridionale alla Spagna), ma anche lungo le rotte atlantiche che conducono all'Inghilterra meridionale (Londra, Southampton) e all'Olanda (Amsterdam).

La quasi totalità delle ceramiche straniere rinvenute negli scavi londinesi, e databili tra il 1490 e il 1590, sono di provenienza montelupina.
Tra i mercanti fiorentini che esportano la ceramica di Montelupo nel mondo e che ne realizzano il successo commerciale, la famiglia Antinori, e in particolar modo Francesco Antinori, svolsero un ruolo centrale. Questa famiglia aveva accumulato, sin dagli anni ’30 del XV secolo, estesi possedimenti terrieri attorno a Montelupo. Nel settembre del 1490, Francesco Antinori firma un contratto con ben 23 maestri vasai e s’impegna ad acquistarne l'intera produzione per tre anni. L’accordo prevede un prezzo secondo tre fasce di qualità: l'ordinaria (la vecchia maiolica arcaica e i suoi ammodernamenti), il damaschino (le tipologie - ormai evolute - che ricadono sotto la terminologia dell'imitazione spagnola e dei motivi orientali) e il vantaggino (le nuove produzioni policrome rinascimentali).
Questo periodo vede anche numerosi vasai montelupini trasferirsi in altri centri ceramici come Lione, la Provenza, Siena e, in numero sempre maggiore, a Roma. Inoltre, sul finire del XV secolo Piero e Stefano "Fattorini" si trasferiscono nella villa medicea di Cafaggiolo, nel Mugello, per dar vita ad una delle manifatture più note e importanti del Rinascimento. Tra il 1510 ed il 1512 l’"Arte degli Orcioli" di Montelupo si dà un proprio statuto.

Con l’inizio del Cinquecento, le botteghe di Montelupo rendono stabili le conquiste formali del Rinascimento attraverso un’opera di “normalizzazione” dei decori, la quale assume pienamente i tratti stilistici dell’epoca. E’ questo il periodo in cui si sviluppano pienamente canoni formali di accentuata policromia, detti “vantaggino”, in cui per la prima volta nella storia della maiolica italiana si impiega il colore rosso, ma anche l’epoca che vede l’elaborazione della grande famiglia dei decori “alla porcellana”, di palese ispirazione orientale.

1530-1550

Nonostante l’incipiente crisi dell’economia e della società toscana che si accompagna ai primi e difficili anni del ducato mediceo (1537-40), le botteghe di Montelupo restano, fino ai primi del XVII secolo, il punto di riferimento per la produzione ceramica. Ad esse si rivolge la corte per committenze di prestigio, quali le decorazioni pavimentali inviate a Maria de’ Medici per il palazzo del Lussemburgo a Parigi e per la stessa fabbrica della reggia di Pitti a Firenze.Dei quattro pavimenti destinati al Palazzo del Lussemburgo uno, non potendo essere spedito in Francia per l’esilio a Blois della regina, fu utilizzato dal cardinale Ippolito de’ Medici per il ninfeo della villa di Careggi, dove ancora oggi si trova. Mentre per Palazzo Pitti sono ancora visibili i pavimenti maiolicati di Montelupo nella Sala della Stufa.
In questo periodo si registra l'immigrazione a Montelupo di vasai faentini che contribuiscono alla diffusione delle suggestioni e dei decori già diffusi al di là dell'Appennino. E' questa l'epoca in cui le botteghe montelupine iniziano a rinnovare il loro repertorio, nel quale si notano gli istoriati e le produzioni a smalto colorato, impreziosite da luminosi inserti di bianco, di derivazione faentina.

1550-1630

La metà del XVI secolo segna l'inizio di una lunga crisi economica che diventerà drammatica sul finire del secolo, con la grande carestia del 1590-91 e con le epidemie (primi decenni del XVII), culminate nella peste del 1630.

L'arco cronologico che va dal 1550 al 1630 disegna quindi la curva discendente dell'attività ceramica di Montelupo. La crisi si farà poi evidente e inarrestabile nel corso del XVII secolo e può riassumere quelle di tante manifatture italiane.
In questo periodo di forte depressione ai ceramisti montelupini rimangono solo alcune grandi committenze, in gran parte legate all'ambiente della corte granducale. Un caso particolare è quello del 1592, subito dopo la grande carestia: il Granduca Ferdinando I de' Medici, accogliendo una "supplica" dei vasai di Montelupo, ordina maioliche per 800 ducati, sufficienti per sostenere le famiglie dei ceramisti per due anni.

La terribile epidemia di peste del 1630-32 assesta un colpo mortale alle imprese montelupine che a stento si risollevano da quella tragedia.
Tra la seconda metà del Seicento e la fine del Settecento Montelupo perde quasi tutta la sua forza produttiva, ma nello stesso tempo diversifica le sue attività incrementando la fabbricazione di terrecotte come orci, catini, conche e pentole da cucina.


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20/02/2004 14.11
Provincia di Firenze