Città Metropolitana di Firenze
Normativa e Accesso. E' ammissibile un'istanza senza perseguimento di interessi pubblici?
L’evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali sul tema. Il pronunciamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e la posizione della dottrina
Può essere accolta un’istanza di accesso generalizzato che non sia finalizzata al perseguimento degli interessi pubblici indicati nell’art. 5 comma 2 del D.Lgs. 33/2013 s.m.i.?
Un primo orientamento giurisprudenziale e dottrinale risponde negativamente a tale quesito, aderendo alla tesi della funzionalizzazione del diritto di accesso generalizzato.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda bis, con sentenza n. 7326 del 2/07/2018, sottolinea infatti che se l’istanza di accesso generalizzato non è finalizzata al perseguimento degli interessi pubblici indicati nell’art. 5 comma 2 del D.Lgs. n. 33/3013 s.m.i., ossia non ha lo scopo di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”, manca in radice il presupposto fondamentale per l’ammissibilità dell’accesso generalizzato stesso.
Nella suddetta sentenza il TAR Lazio rileva che, “sebbene la legge non richieda l’esplicitazione della motivazione della richiesta di accesso generalizzato, deve intendersi implicita la rispondenza della stessa al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica e non resti confinato ad un bisogno conoscitivo esclusivamente privato individuale, egoistico o peggio emulativo che, lungi dal favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, rischierebbe di compromettere le stesse istanze alla base dell’introduzione dell’istituto” (nello stesso senso Tar Sicilia Palermo Sez. III, sentenza n. 2020 del 1/10/2018; Consiglio di Stato Sez. V, sentenza n. 5256 del 25/07/2019; Consiglio di Stato Sez. VI sentenza n. 5702 del 13/08/2019).
Il Consiglio di Stato, nella testè citata sentenza n. 5702 del 13/08/2019, sottolinea che l’accesso civico generalizzato soddisfa un’ esigenza di cittadinanza attiva, incentrata sui doveri inderogabili di solidarietà democratica, di controllo sul funzionamento dei pubblici poteri e di fedeltà alla Repubblica, onde tale accesso non può mai essere egoistico, perché è finalizzato al controllo e alla verifica democratica della gestione del potere pubblico.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con successiva sentenza n. 1121 del 12/02/2020 ha statuito che, sebbene il legislatore non chieda all’istante di motivare la richiesta di accesso generalizzato, la stessa va disattesa ove non risulti in modo chiaro ed inequivoco l’esclusiva rispondenza di detta richiesta al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica, essendo del tutto estraneo al perimetro normativo della fattispecie la strumentalità (anche solo concorrente) ad un bisogno conoscitivo privato.
Il Tar Campania Salerno, con sentenza n. 583 del 25/05/2020 ha affermato che “si ritiene generalmente, alla luce del quadro normativo in materia, che (unico) presupposto di ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato sia la sua “strumentalità alla tutela di un interesse generale”, con la conseguenza che la relativa istanza, dunque, andrà in ogni caso disattesa ove tale interesse generale della collettività non emerga in modo evidente, oltre che, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia stata proposta per finalità di carattere privato ed individuale”.
Un secondo orientamento giurisprudenziale risponde invece positivamente a tale quesito.
Il Tar Lazio, Sezione II bis, con sentenza n. 6875 del 5/06/2018, afferma infatti che il dato normativo di cui al terzo comma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013 non esclude che l’interesse generale ad un controllo diffuso dell’attività amministrativa possa coincidere con un interesse egoistico, in quanto tale norma prescrive testualmente che “l’esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente”.
Secondo quanto statuito dal Tar Lazio nella suddetta pronuncia, escludere che il privato, portatore di un autonomo ed ulteriore interesse rispetto alla dichiarata finalità della disposizione, non confliggente con la stessa, possa chiedere l’ostensione di un documento detenuto dalla pubblica amministrazione, significherebbe violare il dato normativo, introducendo limitazioni non consentite dalla legge.
Il Tar Campania Napoli, Sez. VI, con sentenza n. 604 del 7/02/2020 ha parimenti sottolineato che, ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 33 del 2013 s.m.i, la richiesta di accesso civico generalizzato non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e non deve essere motivata. In tale sentenza il TAR Campania ha affermato che l’istituto dell’accesso civico generalizzato svolge una funzione di controllo diffuso sull’operato delle amministrazioni (anche da parte dell’opinione pubblica), di piena realizzazione del principio della trasparenza, di partecipazione dei cittadini alla vita politico-amministrativa, di comprensione delle scelte fatte dalle amministrazioni.
Anche richieste di accesso generalizzato presentate per finalità egoistiche (purché non emulative o di mera curiosità) possono favorire un controllo diffuso sull’amministrazione, se queste consentono di conoscere le scelte amministrative effettuate, al fine di una complessiva vigilanza. La circostanza che la richiesta sia reputata dall’amministrazione come egoistica non può rappresentare di per sé un limite, in quanto non è prevista dal legislatore come tale.
Il Tar Lombardia, Brescia, Sez. II, con sentenza n. 10 del 13/01/2020 ha evidenziato che l’accesso civico generalizzato attiene alla cura dei beni comuni a fini di interesse generale, e consente a tutti i cittadini, singoli e associati, “l’accesso alla generalità dei dati, dei documenti e delle informazioni, in modo da far assurgere la trasparenza a condizione indispensabile per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella cura della “cosa pubblica”, per contrastare ogni ipotesi di corruzione e per garantire l’imparzialità e il buon andamento dell’Amministrazione”.
Il Tar Lombardia, nella suddetta sentenza, ha statuito che l’accesso civico generalizzato è azionabile da chiunque, senza dover motivare la richiesta e con la sola finalità di consentire una pubblicità diffusa e integrale dei dati, dei documenti e delle informazioni che sono considerati, in base alle norme, come pubblici e quindi conoscibili. Tale conoscenza deve portare a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché a promuovere la partecipazione al dibattito pubblico: per facilitare il raggiungimento di tale obbiettivo la disciplina dell’accesso civico generalizzato prevede appunto che questo non sia sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente.
Il Tar Lombardia ha infine precisato che “la finalità soggettiva che spinge il richiedente a presentare istanza di accesso generalizzato non è sindacabile: anche richieste presentate per finalità egoistiche possono favorire un controllo diffuso se consentono di conoscere le scelte amministrative effettuate.
Il controllo diffuso di cui parla la legge, infatti, non è da riferirsi alla singola domanda di accesso ma è il risultato complessivo cui “aspira” la riforma sulla trasparenza la quale, ampliando la possibilità di conoscere l’attività amministrativa, favorisce forme diffuse di controllo sul perseguimento dei compiti istituzionali e una maggiore partecipazione dei cittadini ai processi democratici e al dibattito pubblico.”
La disciplina dell’accesso civico generalizzato prevede, del resto, esclusioni e limiti a tale accesso, individuando categorie di interessi pubblici (art. 5 bis, primo comma, del D.Lgs. n. 33/2013) e privati (art. 5 bis, secondo comma, del D.Lgs. n. 33/2013) in presenza dei quali il diritto in questione può essere negato, nonché casi di divieto assoluto in presenza dei quali l’accesso generalizzato deve essere escluso ( art. 5 bis, terzo comma, del D.Lgs. n. 33/2013).
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5503 del 2/08/2019, ha statuito che “Nonostante negli orientamenti di primo grado siano presenti affermazioni intese a valorizzare la motivazione della richiesta di accesso, va preferita l’opposta interpretazione, in linea con la previsione dell’art. 5 comma 3 del D.Lgs. n. 33 del 2013, che esclude la preventiva “funzionalizzazione” dell’accesso al raggiungimento delle finalità indicate nell’art. 5 comma 2 (favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico)
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella pronuncia n. 10 del 2/04/2020, ha accolto questo secondo orientamento, statuendo che non si deve confondere la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, per quanto certamente non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella citata sentenza, ha statuito che il diritto di accesso civico generalizzato, pur avendo un’impronta essenzialmente personalistica, quale esercizio di un diritto fondamentale, conserva una connotazione solidaristica, nel senso che l’apertura della pubblica amministrazione alla conoscenza collettiva è funzionale alla disponibilità di dati di affidabile provenienza pubblica, per informare correttamente i cittadini ed evitare il propagarsi di pseudoconoscenze a livello diffuso.
Inoltre il diritto di accesso generalizzato, finalizzato a garantire, unitamente al diritto all’informazione, il buon andamento dell’Amministrazione (art. 97 Cost.), non può finire per intralciare il buon funzionamento della stessa, sicchè il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto.
Sarà così possibile e doveroso evitare e respingere: richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche aventi ad oggetto un numero cospicuo di dati o di documenti, e richieste plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente (o da parte di più richiedenti riconducibili ad uno stesso centro di interessi); richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo (ossia presentate al solo scopo di nuocere o recare molestia), da valutarsi in base a parametri oggettivi).
In dottrina si è sottolineato che affinchè la violazione del dovere di buona fede dovuta al carattere massivo e irragionevole dell’istanza possa avere una qualche rilevanza nel diniego opposto alla richiesta di accesso civico generalizzato, è necessario che l’istante conosca (o quantomeno sia posto nella condizione di conoscere) l’amministrazione, la sua “dimensione”, la capacità dei suoi uffici e il relativo carico burocratico. Tale conoscenza della effettiva “condizione amministrativa” non è attività agevole da assolvere.
Dunque, poiché la reiezione dell’istanza massiva contraria a buona fede dovrebbe logicamente presupporre la prioritaria controllabilità da parte dell’istante medesimo del carattere massivo e irragionevole della sua richiesta rispetto allo stato concreto in cui versa l’amministrazione e ciò nei fatti non appare onere facilmente assolvibile dall’istante, e poichè il dovere di buona fede deve operare in senso bidirezionale, allora appare imporsi in capo all’amministrazione l’obbligo di manifestare, in ottemperanza al dovere di buona fede, le concrete situazioni organizzative che si oppongono alla richiesta di accesso, così da consentire all’istante di ridurre, selezionare, circoscrivere in un secondo momento i dati e i documenti di cui ha chiesto l’ostensione ai sensi dell’art. 5 comma 2, D. Lgs. n. 33/2013 s.m.i..
La prevalente posizione della dottrina sul tema della funzionalizzazione o mendo del diritto di accesso generalizzato si pone in linea con l’orientamento sposato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Si è da tempo rilevato che già il fatto che l’accesso civico generalizzato spetti a “chiunque”, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti (art. 7, comma 1, lett. h) Legge delega n. 241/2015) e non sia sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente (art. 5, comma 3, D. Lgs. 33/2013) depone inequivocabilmente nel senso della netta emancipazione di questo tipo di accesso dal vincolo della “strumentalità” rispetto ad una dimensione di interessi (pubblici o privati) che non sia quella propria ed insindacabile del richiedente, il cui diritto conoscitivo è riconosciuto ex se come espressione della “libertà di informazione”(art. 7, comma 1, lett. h) Legge delega n. 241/2015).
Ma l’elemento ancor più decisivo è rappresentato dal fatto che l’istanza di accesso civico generalizzato “non richiede motivazione”, il che per tutta evidenza significa non soltanto che la P.A. non può esigerla, ma anche che la sua mancanza non può ridondare a danno del richiedente.
Invero, una volta definito l’ambito delle prerogative spettanti al titolare del diritto (e tra esse vi è la scelta di non motivare l’istanza), appare un controsenso voler recuperare spazi per un’ ulteriore valutazione di giuridicità di un elemento che il Legislatore ha ritenuto irrilevante, sottoponendo l’ agere licere così previamente definito dal legislatore al vago e sfuggente controllo ex post sulla motivazione dell’istanza, se non compromettendo le più elementari esigenze di certezza e di prevedibilità del diritto, nonché della uguaglianza formale degli aventi titolo.
Sotto un primo profilo (prevedibilità del giudizio comparativo degli interessi) si rileva che la pretesa “funzionalizzazione” dell’accesso generalizzato finirebbe, infatti, per rappresentare un rimedio peggiore del male, aumentando i margini della discrezionalità amministrativa rimessa alla P.A., la quale si ritroverebbe onerata di quel surplus valutativo (di evidente complessità) afferente le “effettive finalità” perseguite dal richiedente.
Sotto un secondo profilo, che la prospettiva funzionalistica possa seriamente incidere sul valore dell’uguaglianza formale degli aventi titolo, sembra evidente ove si consideri che, in caso di legittima immotivata istanza, il controllo funzionale sulle effettive motivazioni del richiedente dovrebbe giocoforza operare sulla base di “presunzioni” di carattere generale, che finirebbero per trasformare un diritto esercitabile da “chiunque”in un diritto esercitabile soltanto da alcune categorie di soggetti (mass media, organizzazioni della società civile, ricercatori, ecc.), in aperto dissidio con la lettera della norma.
In realtà, la stringente evidenza del dato normativo (art. 5, comma 3, D.Lgs. 33/2013 s.m.i., che sancisce che l’istanza di accesso “non richiede motivazione”) non consente divagazioni sulla mens del Legislatore, stante il primato dell’interpretazione letterale.
In conclusione non sembrano esservi elementi che possano autorizzare l’interprete a mettere in discussione il connotato a – causale dell’istituto configurato dalla norma, tutto deponendo nel senso della assoluta irrilevanza delle finalità della richiesta e delle effettive motivazioni dell’istante nella ponderazione degli interessi in gioco necessaria per l’applicazione delle limitazioni previste dall’art. 5 bis D. Lgs. 33/2013 s.m.i..
Tale norma prevede che l’accesso civico generalizzato “è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:
a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico;
b) la sicurezza nazionale ;
c) la difesa e le questioni militari;
d) le relazioni internazionali;
e) la politica e e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;
f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;
g) il regolare svolgimento di attività ispettive.
2. L’ accesso di cui all’art. 5 comma 2, è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;
c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto di autore e i segreti commerciali.
3. Il diritto di cui all’art. 5 comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’art. 24 comma 1 della legge n. 241/1990
(…..)
6.) Ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui al presente articolo l’Autorità nazionale anticorruzione, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997 n. 281, adotta linee guida recanti indicazioni operative”.
Con le sopra previste “Linee guida” l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha opportunamente precisato che a giustificare il diniego dell’accesso non è sufficiente che il pregiudizio sia semplicemente “possibile in via generale e astratta”, dovendo essere “altamente probabile” (Delibera Anac n. 1309/2016).
Così testualmente la delibera Anac n. 1309/2016: “Affinchè l’accesso possa essere rifiutato, il pregiudizio agli interessi considerati dai commi 1 e 2 deve essere concreto e deve quindi sussistere un preciso nesso di causalità tra l’accesso e il pregiudizio.
L’Amministrazione, in altre parole, non può limitarsi a prefigurare il rischio di un pregiudizio in via generica e astratta ma dovrà: a) indicare chiaramente quale – tra gli interessi elencati all’art. 5 bis commi 1 e 2 – viene pregiudicato; b) valutare se il pregiudizio concreto prefigurato dipende direttamente dalla disclosure dell’informazione richiesta; valutare se il pregiudizio conseguente alla disclosure è un evento altamente probabile e non soltanto possibile”.
Quanto sopra rilevato rende ineludibile (anche se faticosa) l’opera dell’interprete di ponderazione, caso per caso, dell’interesse conoscitivo del richiedente rispetto alle esigenze di tutela dei dati personali, che potrà prevalere soltanto laddove l’Amministrazione possa dimostrare “l’alta probabilità” del pregiudizio arrecabile ai controinteressati.
Se è innegabile e fisiologica la complessità del giudizio di comparazione dell’interesse conoscitivo sotteso alla domanda di accesso civico generalizzato con gli altri contrapposti interessi al riserbo (primo tra tutti l’interesse alla tutela dei dati personali), vi è un aspetto che, se adeguatamente valorizzato, può rivelarsi idoneo a risolvere le più rilevanti criticità..
Il riferimento è a quella tecnica di ostensione consistente nell’oscuramento di quei dati personali la cui omissione non preclude il soddisfacimento dell’interesse conoscitivo del richiedente ed al tempo stesso preserva l’interesse al riserbo tutelato dalla norma. Trattasi di un modus operandi ampiamente sperimentato dal diritto europeo, ove trova ampia diffusione e che, pur concretizzandosi in un semplice espediente pratico, consiste in un provvedimento (tipico) di “accoglimento parziale” della domanda di accesso.
L’art. 5 bis comma 4 D. Lgs. 33/2013 s.m.i. vi dedica un’apposita norma, prevedendo che “Se i limiti di cui ai commi 1 e 2 riguardano soltanto alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, deve essere consentito l’accesso agli altri dai o alle altre parti”.
L’Autorità Nazionale Anticorruzione, con le Linee Guida del 28 dicembre 2016 ne ha dato ampio risalto, in quanto strumento in grado di soddisfare i contrapposti interessi in gioco, ed anche in dottrina ed in giurisprudenza si è evidenziata la grande utilità della norma sotto il profilo pratico – operativo.
Si è al riguardo affermato che la tecnica dell’oscuramento dei dati personali merita di essere valorizzata proprio perché “contiene l’impatto opacizzante dei numerosi limiti previsti all’accesso civico generalizzato” (cfr. E. Carloni, Se questo è un Foia. Il diritto a conoscere tra modelli e tradimenti, Astrid n. 4/2016, pag. 10).
Altra dottrina ha rilevato che l’accesso parziale mediante criptazione del nominativo del titolare dei dati anche non sensibili quando l’identità non è di alcuna utilità per l’istante, oltre che tutelare il diritto alla privacy finisce per rappresentare anche una semplificazione a livello decisionale per la P.A. (A. Simonati, L’accesso civico come strumento di trasparenza amministrativa: luci, ombre e prospettive future (anche per gli Enti locali), Istituzioni del Federalismo n. 372016, pag. 748). (
Lina Cardona)
Fonti: 1) T.A.R. Lazio Sezione Seconda bis, sentenza n. 7326 del 2/07/2018;
2) Tar Sicilia Palermo Sez. III, sentenza n. 2020 del 1/10/2018;
3) Consiglio di Stato Sez. V, sentenza n. 5256 del 25/07/2019;
4) Consiglio di Stato Sez. VI sentenza n. 5702 del 13/08/2019;
5) Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 1121 del 12/02/2020;
6)Tar Lazio, Sezione II bis, sentenza n. 6875 del 5/06/2018;
7) Tar Campania Napoli, Sez. V, sentenza n. 604 del 7/02/2020;
8) Tar Lombardia, Brescia, Sez. II, sentenza n. 10 del 13/01/2020;
9) Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 10 del 2/04/2020;
10) Note critiche sulla “funzionalizzazione” dell’accesso civico generalizzato di Andrea Berti, in www. Giustizia-amministrativa.it 11) Accesso civico generalizzato àrbitri e arbìtri, di Enrico Guarnieri, infederalismi,it del 21/10/2010; 12)“Sull’“accesso civico generalizzato” a dati od informazioni detenute dalla Pubblica Amministrazione” di Rodolfo Sica, in IL DIRITTO AMMINISTRATIVO rivista giuridica;
13) La trasparenza amministrativa nel FOIA italiano. Il principio della conoscibilità generalizzata e la sua difficile attuazione di Maria Alessandra Sandulli e Leonardo Droghini, in federalismi.it.;
14) A. Simonati, L’accesso civico come strumento di trasparenza amministrativa: luci, ombre e prospettive future (anche per gli Enti locali), Istituzioni del Federalismo n. 372016).
26/02/2021 13.49
Città Metropolitana di Firenze