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Redazione di Met
Messa per i vescovi fiorentini defunti in Santa Maria del Fiore
L'omelia dell'arcivescovo Gherardo Gambelli
L’arcivescovo Gherardo Gambelli ha presieduto martedì 9 luglio, alle 18, nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, a Firenze, la Messa di suffragio per gli arcivescovi fiorentini defunti, nel giorno dell’anniversario della morte del cardinale Silvano Piovanelli (9 luglio 2016).

"Pregare Dio per i vivi e per i morti è una delle sette opere di misericordia spirituale, ed è bello farlo tutti insieme oggi in questa celebrazione in cui ricordiamo gli Arcivescovi defunti della nostra Diocesi. Come dice papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia: “Pregare per i defunti può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore”. La nostra preghiera di suffragio si accompagna dunque alla fiducia che anche loro, in questo momento, pregano per noi e ci sostengono nel cammino della vita, nell’attesa di poter un giorno condividere con tutti i santi la gioia eterna, la vittoria sul male e sulla morte. “Quanto meglio viviamo su questa terra, tanto maggiore felicità potremo condividere con i nostri cari nel cielo. Quanto più riusciremo a maturare e a crescere, tanto più potremo portare cose belle al banchetto celeste”, sono ancora parole del Papa. I testi della Liturgia della Parola che abbiamo ascoltato possono aiutarci a vivere con più coerenza la risposta alla chiamata di Dio, a collaborare con più coraggio alla realizzazione del suo Regno.
Il profeta Osea nella prima lettura denuncia il peccato di idolatria che si nasconde spesso dietro un atteggiamento apparentemente religioso: “Efraim ha moltiplicato gli altari, ma gli altari sono diventati per lui un’occasione di peccato. Offrono sacrifici e ne mangiano le carni”. Lo scopo di questa forte denuncia profetica è proprio quello di smascherare quell’atteggiamento ambiguo di chi vuole servire due padroni (Dio e il denaro) e finisce così per ritrovarsi schiavo dei propri idoli. Il Salmo descrive le conseguenze drammatiche di un tale modo di vivere che conduce colui che lo pratica a degradarsi fino a diventare come l’idolo da lui adorato: “Diventino come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida”. Il cammino di conversione, al quale il Signore ci chiama, comincia proprio dal prendere coscienza del male che noi stessi ci procuriamo allontandoci da Lui sorgente di acqua viva. La parola peccato dal latino pes captum indica questo piede bloccato di cui facciamo esperienza ogni volta che non mettiamo Dio al primo posto. Osea parla a questo proposito di un contro-esodo: “dovranno tornare in Egitto”. È questa la situazione in cui ci troviamo, nella quale il Signore viene a visitarci, mostrandoci il suo amore di padre con un cuore di madre: “Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri Israele? …Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira”. Nella preghiera di stasera possiamo chiedere questa grazia di accogliere più profondamente l’amore del Signore che è sempre asimmetrico, ci accoglie per quello che siamo e ci aiuta così a superare i nostri sensi di colpa.
Il muto indemoniato guarito da Gesù di cui ci parla il Vangelo di oggi è ancora un’immagine dell’uomo idolatra che si è corrotto diventando sterile: “Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Le loro mani non palpano, i loro piedi non camminano”. Davanti all’azione di liberazione di Gesù, i farisei vogliono spengere lo stupore delle folle dicendo: “Egli scaccia i demoni per opera del principe dei demoni”. Davanti a queste accuse, simili a quelle rivoltegli dagli abitanti di Nazaret di cui ci parlava il vangelo di domenica scorsa: “Non è costui il falegname? Il figlio di Maria?”, Gesù mostra il suo amore più forte del male, proprio mettendosi in cammino, percorrendo città e villaggi, annunciando il vangelo del Regno. Come ci ricorda ancora papa Francesco: “La missione è l’ossigeno della vita cristiana. La tonifica e la purifica”.
C’è una bella testimonianza del Card. Piovanelli citata nel libro “Il parroco Cardinale” a cura di Marcello Mancini e Giovanni Pallanti che ci parla proprio di questa forza risanatrice della missione. «Negli anni dell'immediato post-Concilio e della contestazione studentesca e sociale, anch'io, qualche volta mi sono sentito contestato come parroco: 'Dov'è la comunità?'”. Il nostro è un cristianesimo fatto di tradizioni, i contestatori dicevano che bisognava smantellarlo: 'La parrocchia e senza futuro si può ricominciare solo ripartendo da zero'. Quante volte, dopo essermi rigirato nella mente tutti quegli interrogativi e quei giudizi senza riuscire a prendere sonno, la mattina ho ritrovato fiducia, celebrando con la gente: vedendo uomini e donne, giovani e anziani, attenti alla Parola, gioiosi nel cantare la fede, capace di un silenzio assoluto nei momenti richiesti; e riconoscendo uomini rotti dalla fatica del lavoro, ma fedelissimi all'incontro domenicale, con occhi vivi e gioiosi, nei volti rugosi oscuri, donne fedeli alla loro casa e ai figli, capaci di dirti poche parole, ma piene di fede evangelica (come una donna che aveva gridato la sua fede davanti al cadavere del marito suicida). E c'è poi quello che è malato, ma finché ha forza viene a messa, poi quella che non ha più pace in casa e viene a cercarla in chiesa, chi è lì perché la morte gli ha portato via la persona più cara, chi t'ha chiesto di poter lavorare per gli altri, chi viene a salutare perché sta per partire, chi ti domanda mezz'ora per confidarti il suo problema o l'altro che vuole un po’ di tempo per confessarsi bene. Guardavo questa gente e dicevo: ecco il popolo di Dio!».
Nella parte finale del Vangelo di oggi il Signore ci invita alla preghiera perché davanti alla sproporzione fra i mezzi e il fine: la messe abbondante e i pochi operai, sappiamo sempre riconoscere la presenza di Gesù che ci precede nella missione e dice anche a noi, come a Paolo a Corinto: “Non aver paura, continua a parlare e non tacere… perché in questa città io ho un popolo numeroso” (At 18,10).
Invochiamo l’intercessione di Maria SS.ma perché ci aiuti a avere questo sguardo contemplativo sulle persone che il Signore ci affida, perché dicendo anche noi: “Ecco il popolo di Dio”, possiamo un giorno essere riconosciuti e accolti dal Padre con Gesù: “Questi è il Figlio mio l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”.

09/07/2024 20.02
Redazione di Met