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Diocesi di Firenze
Festa dell'Ascensione. Betori: nè fede privatistica, nè fuori dalla storia
L'omelia pronunciata nella cattedrale di Santa Maria del Fiore
Cattedrale di Santa Maria del Fiore
12 maggio 2024
Ascensione del Signore – anno B
Celebrazione eucaristica nella 58.a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali
[At 1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20]

Narrando l’Ascensione del Signore gli Atti degli Apostoli come pure il Vangelo di Marco non sembrano interessati a dirci dove e come Gesù si collochi dopo essersi staccato dai suoi discepoli. Ambedue i testi sono invece molto più interessati a indicarci come stare su questa terra nel tempo in cui cessa la presenza visibile del Risorto. La domanda che i due uomini in bianche vesti rivolgono ai discepoli vale per loro ma anche per noi: «Perché state a guardare il cielo?» (At 1,11). Dal cielo giunge l’invito a non distrarre lo sguardo dai compiti che ci attendono su questa terra, magari usando il cielo come un alibi.
Celebrare il mistero dell’Ascensione significa interrogarci su come dobbiamo rapportarci a Gesù, il risorto, nell’orizzonte delle nostre responsabilità sulla terra. Vengono così ricacciate indietro due tentazioni da cui la fede cristiana deve guardarsi, provenienti l’una dal suo interno e l’altra dall’esterno.
La prima prende le fattezze di una forma debole di cristianesimo che, per affermare la propria estraneità alla logica del mondo, se ne tira fuori, pensando la fede come distacco non solo dalle logiche ma anche dalla condizione del mondo. I credenti verrebbero così proiettati lontano dalle vicende della storia, separati da essa, in un rifugio spirituale, che proteggerebbe dai pericoli del male. È questa una tentazione con cui il cristianesimo ha dovuto lottare fin dai primi tempi, nella forma dell’eresia manichea, ha assunto varie forme nello scorrere dei secoli e non smette di insidiare la coscienza credente anche oggi, immaginando un’opposizione irriducibile tra lo spirito e la materia, non riconoscendo il disegno di Dio nella creazione e la realtà dell’incarnazione del Figlio di Dio. Questi ultimi riferimenti evidenziano come nel fuggire dalla condizione umana nel mondo siano in gioco i fondamenti stessi della fede.
Dobbiamo allora ribadire con forza che la salvezza cristiana è rivolta all’umanità nella sua interezza e nella sua storia, proiettandone il destino verso il mistero eterno di Dio. Occorre pensare la fede come assunzione di responsabilità verso i problemi dell’umanità, nella loro complessità e nel confronto con i caratteri propri delle dimensioni biologiche, psicologiche, comunicative, sociali, economiche, politiche dell’esistenza delle persone e delle vicende delle comunità. Nulla di ciò che è umano sfugge allo sguardo della fede e alla capacità che essa ha di condurlo a novità.
E qui si incontra la seconda tentazione, che proviene dall’esterno della comunità cristiana, nascendo da tendenze di pensiero e ambiti di potere che vorrebbero esiliare la fede dalla scena pubblica, per ridurla a fenomeno marginale da consumare nel segreto delle coscienze, a cui vietare ogni rilevanza sociale e storica, concedendole al più spazi residuali di azione sociale e di supplenza delle istituzioni. Questa visione privatistica dell’esperienza di fede raccoglie il favore dei poteri di questo mondo, perché tende a depotenziare la forza che la fede possiede di rigenerare la realtà segnata dal male e bisognosa della misericordia che la redime.
Presenza dei credenti nel mondo sono «i segni che accompagneranno quelli che credono» in virtù dell’annuncio del vangelo, secondo le parole di Gesù agli Undici nel Vangelo di Marco (Mc 16,17). Così prende forma la testimonianza di Gesù davanti a tutti gli uomini: «Di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Dovremo essere testimoni di Gesù con il coraggio di proclamare la verità del vangelo su Dio e sull’uomo, con la perseveranza di porre nel mondo gesti di vita e di speranza per tutti mediante la carità. La fede cristiana non può rinunciare alla sua pertinenza al mondo e, al tempo stesso, intende essere protagonista della storia. Questo in forza della luce che il mistero della Pasqua di Cristo getta sull’umanità e sulle sue vicende.
Queste prospettive si riflettono sull’impegno dei cristiani anche nel mondo vasto e complesso delle comunicazioni sociali. Ci aiuta in ciò la parola del Papa, che quest’anno invita a vivere la 58.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali chiedendo di riflettere su “Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana”. Il Papa lo fa, nel suo Messaggio. rinviando a una riflessione del grande teologo Romano Guardini che ci conduce al centro del problema. Scriveva Guardini invitando a non irrigidirsi verso la novità: «Il nostro posto è nel divenire. Noi dobbiamo inserirvici, ciascuno al proprio posto […], aderendovi onestamente ma rimanendo tuttavia sensibili, con un cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso» (R. Guardini, Lettere dal lago di Como, Brescia 2022 5, 95). Salvaguardare l’umano, commenta il Papa, è possibile «solo dotandoci di uno sguardo spirituale, solo recuperando una sapienza del cuore», avvertendo che quando si parla di cuore, nella prospettiva biblica, non si intendono i sentimenti, perché il cuore è la «sede della libertà e delle decisioni più importanti della vita, è simbolo di integrità, di unità».
Avvertendo che questa sapienza non possiamo chiederla alle macchine, il Papa continua così: «A seconda dell’orientamento del cuore, ogni cosa nelle mani dell’uomo diventa opportunità o pericolo. Il suo stesso corpo, creato per essere luogo di comunicazione e comunione, può diventare mezzo di aggressività. Allo stesso modo ogni prolungamento tecnico dell’uomo può essere strumento di servizio amorevole o di dominio ostile. I sistemi di intelligenza artificiale possono contribuire al processo di liberazione dall’ignoranza e facilitare lo scambio di informazioni tra popoli e generazioni diverse. […] Ma possono al tempo stesso essere strumenti di “inquinamento cognitivo”, di alterazione della realtà tramite narrazioni parzialmente o totalmente false eppure credute – e condivise – come se fossero vere».
Un particolare rilievo, nella riflessione del Papa, è dato alla libertà e alla pluralità del pensiero e dell’informazione, messe in pericolo da un uso distorto delle macchine. Scrive: «La rivoluzione digitale può renderci più liberi, ma non certo se ci imprigiona nei modelli oggi noti come echo chamber. In questi casi, anziché accrescere il pluralismo dell’informazione, si rischia di trovarsi sperduti in una palude anonima, assecondando gli interessi del mercato o del potere. Non è accettabile che l’uso dell’intelligenza artificiale conduca a un pensiero anonimo, a un assemblaggio di dati non certificati, a una deresponsabilizzazione editoriale collettiva».
E, riferendosi direttamente agli operatori della comunicazione, il Papa avverte: «L’uso dell’intelligenza artificiale potrà contribuire positivamente nel campo della comunicazione, se non annullerà il ruolo del giornalismo sul campo, ma al contrario lo affiancherà; se valorizzerà le professionalità della comunicazione, responsabilizzando ogni comunicatore; se restituirà ad ogni essere umano il ruolo di soggetto, con capacità critica, della comunicazione stessa».
A concludere il suo Messaggio, il Papa segnala il bivio in cui siamo «Da una parte si profila lo spettro di una nuova schiavitù, dall’altra una conquista di libertà; da una parte la possibilità che pochi condizionino il pensiero di tutti, dall’altra quella che tutti partecipino all’elaborazione del pensiero. La risposta non è scritta, dipende da noi. Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza».
Ciascuno di noi si senta responsabilizzato a far crescere l’umano attorno a sé, servendo i fratelli e le sorelle nella libertà e nella sapienza.

Giuseppe card. Betori

14/05/2024 19.12
Diocesi di Firenze


 
 


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