10 ottobre 2024
Ottobre missionario, veglie a Lastra a Signa, Isolotto, Campi Bisenzio
"Un banchetto per tutte le genti" è il tema dell’ottobre missionario. Il Centro missionario di Firenze organizza tre veglie missionarie in tre diverse zone della diocesi: si comincia venerdì prossimo 11 ottobre alle 21 a San Martino a Gangalandi (Lastra a Signa).
Venerdì 18 ottobre alle 21 la veglia missionaria diocesana, presieduta dal vescovo Gherardo Gambelli, nella chiesa della Madre delle Grazie all’Isolotto.
Martedì 29 ottobre alle 21 veglia nella chiesa del Sacro Cuore a Campi Bisenzio.
La Giornata missionaria mondiale sarà celebrata domenica 20 ottobre, con le raccolte di offerte nelle parrocchie da devolvere alle missioni.
"Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze" è il brano di Vangelo che papa Francesco richiama nel suo Messaggio. Scrive il Papa: "questo è al cuore della missione: quel 'tutti'. Senza escludere nessuno. Tutti. Ogni nostra missione, quindi, nasce dal Cuore di Cristo per lasciare che Egli attiri tutti a sé".
Percorso formativo per tutela minori alla Facoltà Teologica
Prosegue nell'Arcidiocesi di Firenze l'impegno sul tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. In particolare la Scuola di Alta Formazione in Antropologia Medica della Facoltà Teologica dell'Italia Centrale propone per l'anno accademico 2024/2025 uno specifico percorso formativo dedicato alla tutela e più in generale alla cura dei soggetti fragili.
Il percorso si articolerà in otto incontri con scadenza mensile, in presenza, nella sede della Facoltà Teologica, ma con la possibilità di partecipare anche da remoto.
Tutti gli incontri saranno tenuti da esperti e professionisti di alto livello a partire dal primo in programma domani, giovedì 3 ottobre 2024 (ore 15.00-17.30) "Safeguarding. A proposito della complessa relazione tra profezia e Chiesa" che vedrà a colloquio il prof. Hans Zollner (Pontificia Università Gregoriana) con la prof.ssa Emanuela Vinai (Coordinatrice del Servizio Nazionale Tutela Minori).
4 luglio 2024
Arcivescovo Gambelli su morte giovane in carcere
"Ho appreso con grande dolore la notizia della morte di un ragazzo di soli 20 anni a Sollicciano. Mentre preghiamo per lui e rivolgiamo un pensiero alla sua famiglia, non possiamo continuare ad accettare che tante persone disperate si tolgano la vita in carcere. Purtroppo queste morti confermano una situazione drammatica e condizioni insostenibili in tanti penitenziari italiani, criticità che da tempo vengono denunciate e che ho verificato personalmente come cappellano. Ancora una volta rivolgiamo un accorato appello a tutti coloro che hanno il potere di fare qualcosa perché in carcere vengano rispettati i diritti umani e la dignità delle persone, perché ai detenuti che scontano una pena non sia tolta la speranza della redenzione". Mons. Gherardo Gambelli, Arcivescovo di Firenze.
Prosegue nell'Arcidiocesi di Firenze l'impegno sul tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. In particolare la Scuola di Alta Formazione in Antropologia Medica della Facoltà Teologica dell'Italia Centrale propone per l'anno accademico 2024/2025 uno specifico percorso formativo dedicato alla tutela e più in generale alla cura dei soggetti fragili.
Il percorso si articolerà in otto incontri con scadenza mensile, in presenza, nella sede della Facoltà Teologica, ma con la possibilità di partecipare anche da remoto.
Tutti gli incontri saranno tenuti da esperti e professionisti di alto livello a partire dal primo in programma giovedì 3 ottobre 2024 (ore 15.00-17.30) "Safeguarding. A proposito della complessa relazione tra profezia e Chiesa" che vedrà a colloquio il prof. Hans Zollner (Pontificia Università Gregoriana) con la prof.ssa Emanuela Vinai (Coordinatrice del Servizio Nazionale Tutela Minori).
Seguirà giovedì 21 novembre (ore 9.30-16.30) "Il ruolo dello specialista nel percorso formativo dei candidati alla consacrazione: profilo di personalità, la valutazione psicologica, formazione umana" con gli interventi di mons. Stefano Manetti (vescovo di Fiesole, delegato CET per il clero, i seminari e la pastorale delle vocazioni ), prof. Stefano Lassi (psichiatra, coordinatore della Scuola), prof. Marco Baleani (rettore del seminario e vicario episcopale per la formazione del clero della diocesi di Massa Carrara) e prof. Amedeo Cencini, docente dei corsi di Formazione permanente all'Università Salesiana).
Il prof. Lassi è uno dei componenti del Servizio Diocesano per la Tutela dei minori e degli adulti vulnerabili dell'Arcidiocesi di Firenze, di cui è responsabile mons. Gianni Cioli, servizio attivo da tempo insieme al Centro di ascolto.
Il programma degli incontri è sostenuto dal Servizio Regionale della Tutela dei Minori e adulti vulnerabili della CET coordinato da Suor Tosca Ferrante con il referente Vescovo mons. Carlo Ciattini e dal Gruppo di lavoro per il Propedeutico della CET con il referente Vescovo mons. Stefano Manetti.
Il programma completo degli otto incontri, che termineranno a giugno 2025, è consultabile sul sito della Facoltà Teologica www.ftic.it/saf-antropologia-medica/. dove sono indicate le modalità di iscrizione.
La Scuola di Alta Formazione in Antropologia Medica
La Scuola di Alta Formazione in Antropologia Medica, coordinata dal prof. Gianni Cioli e dal prof. Stefano Lassi, amplia l'offerta formativa della Facoltà che annovera una scuola di alta formazione in teologia e arti, un nuovo percorso di perfezionamento in scienze e pratiche del dialogo interreligioso, oltre alle licenze in teologia biblica e dogmatica consultabili sul sito
https://www.ftic.it/
La Scuola di Alta Formazione in Antropologia Medica, in dialogo con le diverse tradizioni di ricerca in ambito medico-antropologico, offre le competenze necessarie per sviluppare modelli di cura in contesti medico-sociali attenti alla persona, alla maturità psico-affettiva, alle dinamiche di potere, alla dimensione di essere costitutivamente aperto alla relazione anche nella situazione di malattia o di mal-essere.
La vocazione pratica della disciplina viene sviluppata negli ambiti di formazione umana dei percorsi di discernimento, di approccio psicologico nei vari ambiti ecclesiali, della gestione dei processi sanitari di fine vita e assistenza e approccio a minori ed adulti vulnerabili.
La Scuola si rivolge a tutti gli interessati e in particolare a quanti svolgono un servizio a vario titolo sia negli ambiti sociali e culturali dove maggiore è l’impatto della cultura dello scarto nel determinare "isolamento della coscienza" e "tristezza individualistica" (Evangelii Gaudium 1), sia nell’ambito della tutela dei minori e adulti vulnerabili, oltre che nell’ambito psicopedagogico e della formazione umana, e desiderino approfondirne gli aspetti pratici in connessione a quelli teologici.
Le competenze acquisite nel percorso di studi sono inoltre proprie dei vari professionisti della salute, medici, psichiatri, psicologi, consulenti familiari, infermieri, referenti diocesani dei servizi di tutela minori e adulti vulnerabili, referenti centri di ascolto, formatori di seminari e scuole di formazione religiosa, insegnanti.
30 settembre 2024
Incontro sulla missione con il vescovo Gambelli, mons. Bizzeti e padre Martellozzo
"Oggi hanno ancora un senso le missioni?". Partirà da questa domanda l’incontro promosso da Arcidiocesi di Firenze, Centro missionario diocesano e progetto Agata Smeralda venerdì prossimo 4 ottobre alle 18 nel conservatorio delle Mantellate, in via San Gallo 105 a Firenze.
All’incontro parteciperanno l’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli, il vescovo Paolo Bizzeti, vicario apostolico d’Anatolia, e padre Franco Martellozzo, gesuita, missionario in Ciad.
Padre Paolo Bizzeti, 77 anni, nato a Firenze, entrato nei gesuiti dopo il liceo, ha maturato una passione per le terre bibliche del Medio Oriente che lo ha portato a guidare molti pellegrinaggi e a fondare l’associazione Amici del Medio Oriente. Nel 2015 papa Francesco lo ha nominato vicario apostolico dell’Anatolia, nella parte asiatica della Turchia. Vive a Iskenderun, vicino al confine con la Siria.
Padre Franco Martellozzo, 88 anni, originario di Padova, ha trascorso gran parte della sua vita da missionario in Ciad: partì per Bousso nel 1963, quando aveva 25 anni. Ha affrontato gli anni della guerra civile, ha fatto esperienza pionieristica tra la tribù Kwong, è stato a Bitkine, in una zona a predominanza islamica. Nel 1994 fu incardinato nel Vicariato apostolico di Mongo, dove ha trascorso alcuni anni da missionario anche l’arcivescovo Gambelli. Il suo arrivo coincise con un anno di grande carestia che segnò il lancio delle banche dei cereali.
Per partecipare all'incontro sarà possibile parcheggiare nel piazzale del Conservatorio, con ingresso da viale Lavagnini 11.
L’incontro potrà anche essere seguito a distanza, attraverso la diretta streaming trasmessa sul canale Youtube di Toscana Oggi.
29 settembre 2024
Omelia vescovo Gambelli inizio anno pastorale e Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato
"Un esegeta francese dice che il Vangelo di Marco si caratterizza per una sistematica anti-agiografia. Soprattutto a partire dall’episodio di Cesarea di Filippo, quando Gesù annuncia per la prima volta la sua passione, morte e risurrezione, i discepoli mostrano la loro durezza di cuore: Pietro viene chiamato Satana perché non pensa secondo Dio, ma secondo gli uomini. Quando Gesù interroga i discepoli a proposito dell’argomento dei loro discorsi lungo il cammino, essi tacciono: per via infatti avevano discusso tra loro su chi fosse il più grande. Il fatto che l’evangelista non si vergogni di presentare le loro debolezze e miserie è una prova della veridicità del suo messaggio, sarebbe stato molto più facile e conveniente nascondere o camuffare la verità per offrire delle buone referenze a quanti erano chiamati a continuare l’opera di Gesù nel mondo. Al tempo stesso, ognuno di noi è invitato ad accogliere la buona notizia dell’amore fedele di Gesù. Come lui è stato paziente con i suoi primi discepoli, così ora lo è con noi, che tanto somigliamo a loro. Possiamo riflettere sul brano del Vangelo di oggi facendo riferimento a tre immagini: il bicchiere di acqua, lo scandalo, la porta.
L’immagine del bicchiere di acqua viene introdotta al termine di un dialogo fra Gesù e Giovanni, a proposito di un esorcista che scaccia i demoni nel nome di Gesù, senza appartenere al gruppo di quelli che rivendicano il diritto di disporre in modo esclusivo della sua grazia: “Maestro abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo perché non ci seguiva”. Gesù fa capire che non c’è niente da temere nel fatto che altre persone al di fuori della cerchia dei discepoli compiano miracoli nel suo nome e aggiunge: “Chiunque, infatti, vi darà da bere un bicchiere d’acqua perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa”. Cosa rappresenta questo bicchiere d’acqua? È quell’atteggiamento di gratuità nell’amore del prossimo che i discepoli possono suscitare in coloro che li vedono e li ascoltano, riconoscendo che sono di Cristo, che compiono le opere nel suo nome. C’è una frase molto bella nel documento di lavoro per la tappa continentale del Sinodo sulla sinodalità che dice a proposito delle comunità cristiane: “Siamo chiamati ad andare in ogni luogo, in particolare al di fuori dei territori più familiari, uscendo dalla posizione comoda di coloro che danno ospitalità per lasciarci accogliere nell’esistenza di coloro che sono nostri compagni nel cammino dell’umanità”. Come degli esploratori siamo invitati a metterci in cammino con la fiducia nell’azione dello Spirito Santo che sempre e ovunque ci precede, anche nei luoghi più impensati. Ogni bicchiere d’acqua ricevuto ci riporta alla sorgente della nostra vita cristiana, cioè al nostro Battesimo e a tutti gli altri sacramenti che rinnovano in noi la grazia dell’amore infinito e incrollabile del Signore Gesù. Si tratta di aprirsi a quella giustizia superiore che è la misericordia di Cristo, proprio come ci ricorda un celebre testo di San Paolo Apostolo: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2 Cor 5,21).
La seconda immagine è quella dello scandalo. “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare”. Tenendo conto dell’etimologia di questa parola, lo scandalo è come una pietra di inciampo che impedisce ai piccoli che credono in Gesù di crescere nella fede e di vivere come discepoli. L’atteggiamento che crea scandalo è quello di chi consuma le sue energie nell’analizzare, classificare, controllare piuttosto che nel facilitare l’accesso alla grazia, nell’evangelizzare. L’atteggiamento che crea scandalo è quello di quei cristiani di cui parla Papa Francesco che hanno uno stile di Quaresima senza Pasqua. “Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, anche in mezzo alle peggiori angustie. Sarebbe bello recitare più spesso la famosa preghiera attribuita a San Tommaso Moro: «Dammi, Signore, una buona digestione, e anche qualcosa da digerire. Dammi la salute del corpo, con il buon umore necessario per mantenerla. Dammi, Signore, un’anima santa che sappia far tesoro di ciò che è buono e puro, e non si spaventi davanti al peccato, ma piuttosto trovi il modo di rimettere le cose a posto. Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa tanto ingombrante che si chiama “io”. Dammi, Signore, il senso dell’umorismo. Fammi la grazia di capire gli scherzi, perché abbia nella vita un po’ di gioia e possa comunicarla agli altri. Così sia».
L’ultima immagine è quella della porta. Essa è implicita in quella frase in cui Gesù dice: “E se il tuo occhio è motivo di scandalo, gettalo via”. Nel testo originale abbiamo il verbo ekballein che significa esattamente scacciare, è il verbo che è solitamente impiegato proprio in riferimento al far uscire i demoni. L’occhio è la porta del cuore: “La lampada del corpo è l'occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso”. L’occhio cattivo da espellere è quello che porta a pensare che uno può salvarsi da solo. Concludo con una storia che ci ricorda l’importanza di avere un occhio limpido.
Sei persone, colte dal caso nel buio di una gelida nottata, su un’isola deserta, si ritrovarono ciascuna con un pezzo di legno in mano. Non c’era altra legna nell’isola persa nelle brume del mare del Nord. Al centro un piccolo fuoco moriva lentamente per mancanza di combustibile. Il freddo si faceva sempre più insopportabile. La donna se ne accorse. Strinse il pugno intorno al suo pezzo di legno. Perché consumare il suo legno per scaldare uno scansafatiche venuto a rubare pane e lavoro? L’uomo che stava al suo fianco vide uno che non era del suo partito. Mai e poi mai avrebbe sprecato il suo bel pezzo di legno per un avversario politico. La terza persona era vestita malamente e si avvolse ancora di più nel giaccone bisunto, nascondendo il suo pezzo di legno. Il suo vicino era certamente ricco. Perché doveva usare il suo ramo per un ozioso riccone? Il ricco sedeva pensando ai suoi beni, alle due ville, alle quattro automobili e al sostanzioso conto in banca. Le batterie del suo telefonino erano scariche, doveva conservare il suo pezzo di legno a tutti i costi e non consumarlo per quei pigri e inetti. Il volto scuro dell’immigrato era una smorfia di vendetta nella fievole luce del fuoco ormai spento. Stringeva forte il pugno intorno al suo pezzo di legno. Sapeva bene che tutti quei bianchi lo disprezzavano. Non avrebbe mai messo il suo pezzo di legno nelle braci del fuoco. Era arrivato il momento della vendetta. L’ultimo membro di quel mesto gruppetto era un tipo gretto e diffidente. Non faceva nulla se non per profitto. Dare soltanto a chi dà, era il suo motto preferito. Me lo devono pagare caro questo pezzo di legno, pensava. Li trovarono così, con i pezzi di legno stretti nei pugni, immobili nella morte per assideramento. Non erano morti per il freddo di fuori, erano morti per il freddo di dentro.
L’Eucaristia che celebriamo all’inizio dell’anno pastorale ravvivi in noi il fuoco dell’amore perché sappiamo crescere nella nostra identità di figli di Dio riconoscendo nel volto di ogni nostro compagno e compagna di viaggio, il dono di un fratello e di una sorella".
24 settembre 2024
Domenica in Cattedrale Giornata mondiale del migrante e apertura dell'anno pastorale
Nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore domenica prossima 29 settembre, Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, si aprirà il nuovo anno pastorale dell'Arcidiocesi di Firenze, all'incontro sono invitati tutti i fedeli.
Alle 15 l'Arcivescovo mons. Gherardo Gambelli farà una riflessione per introdurre e preparare i successivi lavori di gruppo. I partecipanti si divideranno in più tavoli di confronto per discutere in stile sinodale su quattro temi tratti dal Messaggio di papa Francesco per la 110a Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2024 che ha come titolo “Dio cammina con il Suo popolo”.
Nei giorni scorsi il vescovo ha spedito alle parrocchie una lettera di invito per questo appuntamento, insieme ad una scheda con la sintesi dei temi su cui riflettere: "Chiesa: popolo di Dio in cammino", "L'amore di Dio ci precede e ci accompagna", "Un popolo che ha ampi confini" e "Un popolo inclusivo che ascolta il grido dei poveri"; invitando tutti personalmente, in famiglia, tra amici, a margine di un altro incontro parrocchiale ad iniziare a porre l'attenzione su questi argomenti.
Alle 18 in Cattedrale, al termine dei lavori di gruppo, seguirà la Celebrazione eucaristica dove gli animatori pastorali, e quanti si impegnano nel servizio, riceveranno il mandato per il loro ministero. Nel suo Messaggio per questa Giornata papa Francesco propone in un passaggio l'immagine della tenda e scrive: "La tenda è una forma di presenza particolarmente cara al Signore. Durante il regno di Davide, Dio rifiuta di essere rinchiuso in un tempio per continuare ad abitare in una tenda e così poter camminare con il suo popolo, «da una tenda all’altra e da una dimora all’altra» (1 Cr 17, 5)". Per riprendere questo simbolo e questo concetto, in fondo alla navata centrale della Cattedrale sarà installata una tenda realizzata con le stoffe portate dalle varie comunità etniche della diocesi.
Al termine della celebrazione, uscendo dalla Cattedrale, sarà consegnato a tutti i presenti il mandato per gli operatori pastorali, a significare che tutti i fedeli sono messaggeri inviati a testimoniare Gesù e il Vangelo. A ciascuno sarà anche dato un piccolo rosario proveniente dalla Terra Santa, con l'impegno personale di dedicare ogni giorno del tempo alla preghiera.
L'appuntamento di domenica si concluderà alle 19.45 nel chiostro della Santissima Annunziata con un momento conviviale preparato dalla Caritas per tutti i partecipanti che si sono iscritti nei giorni scorsi confermando la presenza.
14 settembre 2024
Omelia Arcivescovo Gambelli Festa dell'Esaltazione della Santa Croce
"Da alcuni anni è sorta qui a Santa Croce la bella tradizione di anticipare la celebrazione della giornata mondiale dei poveri in occasione della festa dell’Esaltazione della Santa Croce del 14 settembre. Come ci ricorda papa Francesco nel suo messaggio per questa ottava giornata mondiale dei poveri del 2024: “La giornata dei poveri è un’occasione propizia per realizzare iniziative che aiutano concretamente i poveri, e anche per riconoscere e dare sostegno ai tanti volontari che si dedicano con passione ai più bisognosi. Dobbiamo ringraziare il Signore per le persone che si mettono a disposizione per ascoltare e sostenere i più poveri. Sono sacerdoti, persone consacrate, laici e laiche che, con la loro testimonianza, danno voce alla risposta di Dio alla preghiera di quanti si rivolgono a Lui”.
Le letture della Messa che abbiamo ascoltato vogliono aiutarci a crescere nella fede, vivendo quell’equilibrio fra preghiera e carità che è necessario per non cadere nei rischi di uno spiritualismo vuoto o di una filantropia che presto si esaurisce. Potremmo riassumere il messaggio della Parola di Dio di oggi facendo ricorso a tre immagini del nostro corpo: il cuore, la testa, la mano.
Il libro dei Numeri ci presenta l’episodio del popolo di Israele che mormora nel deserto contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatti salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto?” Un proverbio della tradizione ebraica dice che “per il Signore fu più facile far uscire Israele dall’Egitto, che l’Egitto dal cuore d’Israele”. I serpenti che mordono gli Israeliti e provocano la loro morte sono da interpretare, non tanto come il castigo di Dio, ma come un’immagine delle conseguenze penose del peccato di idolatria del popolo. Anche noi facciamo esperienza di qualcosa di simile nella nostra vita, ogni volta che mettiamo il nostro “io” al posto di Dio. Sappiamo tuttavia che il Signore è fedele in eterno e quando noi ci riconosciamo peccatori, egli sempre interviene per guarirci. Il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto è un segno del perdono di Dio. Non è il peccato, dunque, che ci separa dal suo amore, ma piuttosto la presunzione di essere giusti o la disperazione nella quale cadiamo quando ci accorgiamo di aver sbagliato, pensando di non poter più rialzarci dalla caduta. Le persone povere dispongono di una misteriosa sapienza che può aiutarci a crescere nella fede in Dio misericordioso. Esse, infatti, non possedendo molti beni, confidano nell’unico bene che è la comunione con Dio, sanno riconoscerlo come un Padre con un cuore di madre. L’ascolto costante della Parola di Dio, può aiutarci a lasciar penetrare nell’intimo del nostro cuore la forza risanatrice della misericordia di Dio.
Parlando ora della testa, intendo riferirmi al frutto dello Spirito Santo che suscita in noi un cambiamento di mentalità.
È interessante osservare come l’evangelista Giovanni veda nella morte di Gesù sulla croce il compimento dell’episodio narrato nel libro dei Numeri: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Notiamo che adesso il guardare colui che è stato innalzato, viene specificato nel senso di credere in lui, il Figlio dell’uomo. La fede in lui può dare non solo la guarigione, ma la vita eterna che comincia già nel tempo presente. Questa parola di Gesù si trova inserita nel conteso di un dialogo notturno con Nicodemo, centrato proprio sul senso della vita: “Se uno non nasce dall’alto non può vedere il regno di Dio”. Nascere dall’alto significa lasciarsi guidare dallo Spirito Santo che trasforma il nostro modo di vedere e di pensare. La logica del mondo ci porta spesso a immaginare che la felicità possa venire da possedere molte cose o da diventare qualcuno. Il Vangelo ci dice che la gioia vera viene piuttosto dall’essere con Dio e dal vivere nell’amore. Sarebbe bello che la giornata dei poveri fosse non soltanto un evento che celebriamo una volta l’anno, ma che diventasse il punto di partenza per uno slancio di solidarietà più coraggioso da vivere per tutto l’anno. Tante persone nella nostra città di Firenze faticano a trovare una casa e un lavoro. Dio ama chi dona con gioia e potremmo aggiungere che dona la gioia a chi ama. C’è un bel pensiero di Madre Teresa di Calcutta che Papa Francesco cita nel messaggio per la giornata mondiale dei poveri di quest’anno. Quando nell’ottobre del 1985 parlò nell’assemblea Generale dell’ONU, mostrando a tutti la corona del rosario che teneva sempre in mano, disse: “Io sono soltanto una povera suora che prega. Pregando, Gesù mi mette nel cuore il suo amore e io vado a donarlo a tutti i poveri che incontro sul mio cammino. Pregate anche voi! Pregate, e vi accorgerete dei poveri che avete accanto. Forse nello stesso pianerottolo della vostra abitazione. Forse anche nelle vostre case c'è chi aspetta il vostro amore. Pregate e gli occhi si apriranno e il cuore si riempirà di amore”.
Nell’ultima parte del vangelo di oggi Gesù parla della salvezza del mondo. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna”. Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità. Il dono della salvezza può essere custodito solo nella misura in cui sappiamo condividerlo. Potremmo allora guardare le nostre mani e chiederci se sono aperte e pronte a essere stese verso il prossimo, oppure se sono chiuse per accumulare o aggredire. Anche su questo aspetto, impariamo dalla sapienza dei poveri l’importanza della solidarietà. Mi è capitato tante volte di ascoltare le testimonianze dei volontari del banco alimentare che stando fuori dai supermercati spesso fanno esperienza di una generosità manifestata principalmente proprio dalle persone più semplici e povere, rispetto a quelle più ricche e benestanti. In questo modo i poveri diventano ancor di più per noi un modello, perché ci ricordano come nessuno si salva da solo, né con le proprie forze, né come individuo isolato. Mi viene in mente una bella storia. Un uomo, il suo cavallo e il suo cane camminavano lungo una strada. Mentre passavano accanto a un albero gigantesco, si abbatté un fulmine e morirono tutti fulminati. Ma l’uomo non si accorse di avere ormai lasciato questo mondo e continuò a camminare con i suoi due animali. Era una camminata molto lunga, su per la collina, il sole era forte e loro erano tutti sudati e assetati. Avevano disperatamente bisogno di acqua. A una curva della strada, avvistarono un magnifico portone, tutto di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d’oro, al centro della quale c’era una fontana da cui sprizzava dell’acqua cristallina. Il viandante si rivolse all’uomo che sorvegliava l’entrata: “Buongiorno!” “Buongiorno!” rispose l’uomo. “Che posto è mai questo, così meraviglioso?” chiese il viandante. “Questo è il Cielo.” disse l’uomo. “Che bello essere arrivati nel cielo, abbiamo molta sete.” esclamò il viandante. “Lei può entrare e bere a volontà.” disse il guardiano indicando la fontana. “Anche il mio cavallo e il mio cane hanno sete.” fece notate il viandante. “Mi spiace molto, ma qui non è permessa l’entrata di animali.” replicò l’uomo. L’uomo ne rimase assai deluso, perché aveva molta sete, ma non avrebbe mai bevuto da solo. Ringraziò e proseguì. Dopo aver camminato a lungo, ormai esausti, arrivarono in un luogo la cui entrata era segnata da una vecchia porta, che si apriva su di un sentiero sterrato, fiancheggiato da alberi. All’ombra di uno degli alberi, c’era un uomo sdraiato, con il capo coperto da un cappello, che probabilmente stava dormendo. “Buongiorno!” salutò il viandante. L’uomo fece un cenno con il capo. “Abbiamo molta sete, il mio cavallo, il mio cane e io.” continuò il viandante. “C’è una fonte tra quelle pietre.” disse l’uomo indicando un posto, “Potete bere a volontà. L’uomo, il cavallo e il cane si avvicinarono alla fonte e bevvero a volontà. Poi, l’uomo tornò indietro per ringraziare, e chiese: “Come si chiama questo posto?” “Cielo.” rispose l’uomo. “Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era là!” esclamò il viandante. “Quello non è il cielo, quello è l’inferno.” replicò l’uomo. Il viandante rimase perplesso e disse: “Voi dovreste evitarlo! Una tale informazione falsa causerà grandi confusioni!” L’uomo sorrise e disse: “Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché laggiù rimangono tutti quelli che sono capaci di abbandonare i loro migliori amici”."
12 settembre 2024
Marzio Mori nuovo direttore Caritas diocesana di Firenze
Sarà Marzio Mori il nuovo direttore della Caritas Diocesana di Firenze. Dopo aver anticipato ieri la notizia al clero durante l’incontro annuale all’eremo di Lecceto, questa mattina l’arcivescovo Gherardo Gambelli lo ha annunciato all’equipe Caritas riunita in curia.
«Sono entrato in Caritas nel 2004 e ho lavorato molto sull’accoglienza, sulle emergenze, sulle varie opere segno che la Caritas gestisce» racconta Mori, attualmente responsabile dell’area Servizi alla persona e dell’area Richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale di Fondazione Solidarietà Caritas, l’ente no profit nato per supportare la Caritas diocesana nella realizzazione e gestione di opere e progetti.
Prima di entrare in Caritas Mori era direttore dell’Oasi, la casa dei padri Mercedari per ex detenuti. Fu assunto come direttore del San Paolino, una struttura che in quel periodo fu ingrandita per svolgere varie funzioni a servizio della città. La nomina a direttore della Caritas diocesana arriva quindi a coronare questo percorso ventennale.
La carica diverrà operativa nei prossimi giorni, quando sarà firmato il decreto di nomina. Nel frattempo Mori lascerà il Consiglio comunale, dove era stato eletto alle ultime amministrative.
Durante l’incontro di questa mattina, l’Arcivescovo ha anche ringraziato Riccardo Bonechi, direttore di Caritas diocesana dal marzo 2019, che ha guidato l’organismo della Chiesa fiorentina con dedizione e impegno, in modo particolare negli anni difficili della pandemia quando il ruolo di Caritas è stato fondamentale per tanti servizi essenziali.
28 agosto 2024
Condoglianze Arcivescovo Gambelli scomparsa pastore Mario Affuso
L'Arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli è vicino nella preghiera ed esprime con la diocesi le condoglianze alla famiglia e alla comunità evangelica per la scomparsa di Mario Affuso, pastore emerito della Chiesa Apostolica Italiana di Firenze e Prato. Affuso, nato a Napoli 92 anni fa da tempo risiedeva a Prato, per tanti anni è stato un punto di riferimento per il dialogo ecumenico in Toscana, e non solo.
15 agosto 2024
Omelia Arcivescovo Gambelli solennità Assunta
"Il significato profondo della Solennità dell’Assunzione che celebriamo oggi è ben sintetizzato nelle parole del Prefazio della Messa che reciteremo prima della preghiera di consacrazione: “Oggi la Vergine Maria, Madre di Dio è stata assunta in cielo. Segno di sicura speranza e consolazione per il popolo pellegrino sulla terra, risplende come primizia e immagine della Chiesa chiamata alla gloria”. Le letture che abbiamo ascoltato vogliono aiutarci, come Maria, a far spazio all’azione dello Spirito Santo che riversa nei nostri cuori l’amore di Dio, grazie al quale si radica in noi la speranza che non delude. Possiamo soffermarci su tre immagini che ci vengono offerte dalla liturgia della Parola.
La prima è quella dell’arca dell’alleanza, di cui ci parla il libro dell’Apocalisse: “Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca dell’alleanza”. Possiamo notare che anche il racconto della Visitazione di Maria a Elisabetta è presentato dall’evangelista Luca con tutta una serie di particolari che alludono fortemente al capitolo 6 del Secondo Libro di Samuele, dove si parla del trasporto dell’arca dell’alleanza dai monti di Giuda in Gerusalemme, al tempo di Davide. Come Elisabetta, anche Davide si chiede: “Come potrà venire da me l’arca del Signore?” e decide allora di farla trasferire nella casa di Obed-Edom di Gat dove rimane per tre mesi, proprio come Maria nella casa di Zaccaria. Maria è dunque l’arca di quella nuova alleanza, preannunciata dai profeti, e che si compie con la venuta di Gesù: “Questa sarà l'alleanza che concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l'un l'altro, dicendo: Conoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande - oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato” (Ger 31,33-34). San Paolo nella Lettera ai Galati, nell’unico riferimento del suo epistolario alla Vergine Maria, descrive così il nuovo tempo inaugurato con la venuta del Cristo: “Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: "Abbà! Padre!". Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio”. Maria, arca della nuova alleanza, desidera visitare oggi anche ognuno di noi. Lei che ha molto aiutato Gesù a crescere, ora aiuta noi a far crescere Gesù nella nostra vita, suscitando in noi l’entusiasmo della fede. Una bella poesia di p. Pedro Arrupe dice: «Lasciati innamorare perché niente può essere più importante che incontrare Dio. Vale a dire, innamorarsi di Lui in una maniera definitiva e assoluta. Ciò di cui tu ti innamori cattura la tua immaginazione e finisce per lasciare la sua orma su tutto quanto. Sarà quello che decide che cosa ti farà alzare dal letto la mattina, cosa farai nei tuoi tramonti, come trascorrerai i tuoi fine settimana, quello che leggi, quello che sai, quello che ti spezza il cuore e quello che ti travolge di gioia e gratitudine. Innamorati! Rimani nell’amore! Tutto sarà diverso».
La seconda immagine è quella di Maria come madre. Così viene salutata da Elisabetta, riempita di Spirito Santo: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”. Maria è madre di Gesù perché prima di tutto è stata sua discepola (“figlia del suo figlio”), ascoltando la parola di Dio e mettendola in pratica: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). Il beato Isacco della Stella, in un celebre discorso, ci ricorda che ognuno di noi è invitato a generare Cristo nel mondo: “Anche la singola anima fedele può essere considerata come sposa del Verbo di Dio, madre figlia e sorella di Cristo, vergine e feconda. Viene detto dunque in generale per la chiesa, in modo speciale per Maria, in particolare anche per l'anima fedele”. La donna incinta che grida per le doglie e il travaglio del parto, di cui ci parla oggi il libro dell’Apocalisse, si riferisce più alla Chiesa che a Maria. Il bambino partorito rappresenta il bene che la comunità cristiana riesce ad esprimere. Esso avrà sempre l’apparenza di essere una realtà del tutto sproporzionata rispetto ai bisogni del mondo. Tuttavia, quell’enorme drago rosso con sette teste e dieci corna, simbolo del male pronto a divorarlo, si rivela in verità impotente perché Dio rapisce il bambino verso di lui e verso il suo trono. Proprio chi si fa piccolo e umile come Maria, lasciandosi trasformare dalla grazia, diventa capace di guardare la storia con gli occhi di Dio, di vedere la forza che si manifesta nella debolezza. La bella tradizione della Chiesa che ci invita a pregare la sera, nella liturgia delle ore, con le parole del Magnificat di Maria ci educa progressivamente alla virtù della speranza, imparando da lei ad annunciare il futuro della salvezza con i verbi al passato: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
“Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani”, ci ricorda una bella frase del Concilio Vaticano II. Vorrei esprimere, in tal senso, la mia vicinanza e il mio ringraziamento a tutti quei gruppi che nelle parrocchie, nei Vicariati e in Diocesi si impegnano con coraggio e perseveranza a pregare per la pace.
La terza immagine è quella delle primizie, di cui ci parla la seconda lettura, a proposito della risurrezione di Gesù: “Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. Maria, associata alla gloria del suo Figlio, è anche lei una primizia. Questa immagine allude ai primi frutti del raccolto che preannunciano il tempo finale della messe. La speranza va coniugata con l’attenzione ai germogli che devono essere protetti e custoditi con sapienza e creatività. Il rischio infatti è quello di cadere in facili ottimismi senza discernimento, come ci racconta con fine ironia la storia di una persona un po’ distratta. Una donna, che non aveva grandi risorse economiche, trovò un uovo. Tutta felice, chiamò il marito e i figli e disse: "Tutte le nostre preoccupazioni sono finite. Guardate un po': ho trovato un uovo! Noi non lo mangeremo, ma lo porteremo al nostro vicino perché lo faccia covare dalla sua chioccia. Così presto avremo un pulcino, che diventerà una gallina. Noi naturalmente non mangeremo la gallina, ma le faremo deporre molte uova, e dalle uova avremo molte altre galline, che faranno altre uova. Così avremo tante galline e tante uova. Noi non mangeremo né galline né uova, ma le venderemo e ci compreremo una vitellina. Alleveremo la vitellina e la faremo diventare una mucca. La mucca ci darà altri vitelli, finché avremo una bella mandria. Venderemo la mandria e ci compreremo un campo, poi venderemo e compreremo, compreremo e venderemo". Mentre parlava, la donna gesticolava. L'uovo le scivolò di mano e si spiaccicò per terra.
La vita di ognuno di noi è quel fragile uovo, chiamato a schiudersi e ad aprirsi alla vita. Preghiamo perché sappiamo sempre più metterci nelle mani salde e fedeli del Signore nostro Gesù Cristo affinché possa modellarci. Abbandonando la paura che questa sua presenza possa entrare in noi per mutilarci o indebolirci, potremo allora permettergli di darci la vita in pienezza e di renderci un giorno partecipi della sua gloria eterna, insieme a Maria sua madre e nostra madre".
14 agosto 2024
Condoglianze Arcivescovo Gambelli scomparsa pastore valdese Ricca
L'Arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli, a cui si unisce il card. Giuseppe Betori, sono vicini nella preghiera ed esprimono le condoglianze alla famiglia e alla comunità valdese per la scomparsa di Paolo Ricca, uno dei più significativi teologi del nostro tempo, pastore che ha offerto un assiduo e decisivo contributo al dialogo ecumenico. Ricca aveva partecipato come osservatore al Concilio Vaticano II ed era legato a Firenze dove aveva vissuto quando suo padre era pastore, e dove sono rimasti a vivere i suoi fratelli.
10 agosto 2024
Omelia Arcivescovo Gambelli festa San Lorenzo
Le parole della preghiera colletta, che abbiamo recitato all’inizio di questa celebrazione, vogliono aiutarci a cogliere la bellezza e il senso profondo della festa odierna di San Lorenzo: “O Dio, l’ardore della tua carità ha reso san Lorenzo fedele nel ministero e glorioso nel martirio: fa’ che amiamo ciò che egli ha amato e viviamo ciò che egli ha insegnato”. Nella figura dei santi, siamo invitati a riconoscere la forza dell’amore di Dio che trasforma i cuori delle persone, rendendole capaci di compiere il bene non con tristezza, né per forza, ma volentieri, con gioia. Infatti, come ci ricorda san Paolo nella prima lettura, Dio ama chi dona con gioia. Possiamo allora lasciarci contagiare da questa gioia, vincendo la tentazione di pensare che il cammino della santità ci renda meno umani. Dio, al contrario, vuole che noi abbiamo la vita, la vita in abbondanza. Potremmo riflettere sulla figura e sull’esempio di San Lorenzo facendo ricorso a tre immagini (la borsa, la graticola, le stelle).
La borsa ci ricorda il servizio che il diacono Lorenzo svolgeva, verso la metà del III secolo nella comunità cristiana di Roma, come amministratore della cassa. Come ben sappiamo, durante la persecuzione, l’imperatore Valeriano gli promise salva la vita se gli avesse portato i tesori nascosti della Chiesa. L’indomani Lorenzo si presentò a corte con alcuni poveri, dicendo: “Ecco questi sono i nostri tesori eterni, non vengono mai meno, anzi crescono”. Gesù ci dice che laddove è il tuo tesoro, là sarà pure il tuo cuore. Ognuno di noi potrebbe oggi interrogarsi: “Dov’è il mio tesoro?”. Si tratta in definitiva di porsi la domanda sul senso della vita: “Perché vivo?”, o meglio: “Per chi vivo?”. Se siamo onesti, molte volte ci accorgiamo che ci sono tanti idoli nella nostra vita che prendono il posto di Dio: la ricerca dell’avere, del potere, della gloria umana. Proprio a causa di questo, spesso sperimentiamo quegli stessi sentimenti del figlio minore della parabola del Padre misericordioso, che dopo essersi allontanato da casa, si ritrova solo e desideroso di mangiare le carrube di cui si cibano i porci che sta pascolando. È importante in questi momenti saper rientrare in noi stessi, combattere la vergogna e metterci in cammino, sapendo che Dio non ci giudica, ma ci accoglie per quello che siamo. Gesù è quel chicco di grano di cui ci parla il Vangelo di oggi che cade a terra e morendo non rimane solo. Salendo sulla croce egli occupa l’ultimo posto per non lasciarci soli, perché nessuno possa mai sentirsi escluso dal suo amore misericordioso. Lorenzo ha saputo aprirsi alla bellezza di questa buona notizia del Vangelo e parlando dei tesori eterni, rappresentati dai poveri, mostra di aver ben assimilato la parola di Gesù: “Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi e ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti”. Accogliendo l’amore gratuito del Signore è diventato capace di riconoscere la dignità e la ricchezza di ogni creatura umana, soprattutto quelle dei più piccoli e insignificanti agli occhi del mondo.
La seconda immagine è quella della graticola sulla quale, secondo la tradizione, san Lorenzo fu arso vivo. Si tratta molto probabilmente di un elemento leggendario, con cui fin dall’inizio il martirio di San Lorenzo è stato interpretato come il compimento di un cammino di offerta al Signore. Lorenzo ha vissuto fino in fondo quel culto spirituale di cui parla San Paolo nella Lettera ai Romani, che consiste nel non conformarsi alla mentalità di questo mondo, ma a lasciarsi trasformare rinnovando il modo di pensare per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (cf. Rm 12,1-2). L’immagine della graticola si avvicina a quella della grata del carcere e anche a quella di una scala. Michelangelo la rappresenta proprio così nell’affresco del Giudizio Universale della Cappella Sistina. La grata e la scala. Nel mese di luglio, più o meno negli stessi giorni, nella nostra città un giovane si è suicidato nel carcere di Sollicciano, mentre un altro si è arrampicato sulle impalcature della cupola del Duomo per fare un video da diffondere sui social. Questi eventi ci interrogano profondamente: da una parte una persona talmente disperata da non trovare più alcun senso alla propria vita fino al punto di togliersela e dall’altra un coetaneo che si espone a incredibili rischi solo per essere visto e incrementare il numero di like sul suo profilo. San Lorenzo, secondo la tradizione, è morto giovane all’età di 33 anni, in nome della fedeltà al Vangelo, dopo aver scalato le vette più difficili dei monti dell’egoismo e dell’indifferenza. Come lui, ancora oggi grazie a Dio, molti giovani sono capaci di gesti coraggiosi di generosità e di solidarietà che non sono certo quello di salire sulla cupola di notte e di nascosto -. Ma noi adulti, sappiamo davvero aiutarli a realizzare i loro sogni più belli? Una strada da percorrere potrebbe essere quella tracciata dal Venerabile Giorgio La Pira che nel suo primo discorso in Consiglio Comunale del 5 luglio 1951, elencava gli obiettivi della Giunta con queste parole: “C’è poi un terzo obiettivo che è forse il più importante. Firenze rappresenta nel mondo qualche cosa di unico. Ora, qual è il bisogno fondamentale del nostro tempo, dopo quelli che vi ho accennato? Dare allo spirito dell'uomo quiete, poesia, bellezza! Tutti quelli che, da qualunque parte del mondo, vengono a Firenze trovano qui la quiete: la trovano nell'aria, nelle linee architettoniche degli edifici, nei volti degli uomini. Firenze ha nel mondo il grande compito di integrare con i suoi valori contemplativi, l'attuale grande civiltà meccanica e dinamica. I nostri grandi scrittori, poeti, artisti hanno assegnato a Firenze questo compito nel mondo e noi faremo il possibile per far diventare la nostra città sempre più il centro dei valori universali”. La quiete sui volti è strettamente legata alla quiete del cuore, a quella pace che si conquista quando impariamo a vincere l’egoismo, l’orgoglio, l'avidità, la falsità a scapito degli altri. La vera via della pace, come ci ricorda papa Francesco è quella che passa dall’impegno perché tutti abbiano una casa, una terra, un lavoro. Vorrei esprimere, in tal senso, la mia vicinanza ai lavoratori di tutte le aziende in difficoltà, come quelli della piana fiorentina coinvolti nella crisi della pelletteria e del comparto moda, e ai dipendenti della ex GKN che chiedono il pagamento degli stipendi e attendono la definizione di un piano che possa concretamente offrire una definitiva e positiva soluzione ai loro problemi.
La terza immagine è quella delle stelle. La notte dedicata al martirio di San Lorenzo è legata in maniera indissolubile al fenomeno delle stelle cadenti. La tradizione ha voluto associarle alle lacrime versate dal santo durante il suo supplizio o ai carboni ardenti su cui subì il martirio. San Paolo nella lettera ai Filippesi esorta i cristiani a essere come astri nel mondo: “Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere nella quale dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita” (Fil 2,14-16). “Se uno serve me, il Padre lo onererà”, ci ricorda Gesù nel Vangelo di oggi. L’immagine della stella mi ricorda una bella storia.
C'era una volta un uomo molto austero e santo che aveva fatto voto di non toccare né cibo né bevanda fino al tramonto. L'uomo sapeva che il suo sacrificio piaceva al Cielo, perché ogni sera sulla montagna più alta della valle, appariva una stella luminosa visibile a tutti. Un giorno l'uomo decise di scalare la montagna e un ragazzo del villaggio insistette per andare con lui. A causa del caldo e della stanchezza, presto entrambi ebbero sete. L'uomo incoraggiò il bambino a bere, ma egli rispose: «Lo farò solo se anche tu bevi». Il pover’uomo era in grave imbarazzo: non voleva rompere il suo voto, ma non voleva nemmeno far soffrire la sete al piccolo. Alla fine bevve e il bambino fece lo stesso. La sera l'uomo non osava guardare al cielo, per paura che la stella fosse scomparsa. Si può quindi immaginare il suo stupore quando, dopo un po' di tempo, alzò gli occhi e vide che sulla montagna brillavano due meravigliose stelle.
Aiutaci, Signore, per intercessione di San Lorenzo martire, a lasciarci trasformare dalla forza del tuo amore fedele e misericordioso, perché vivendo con coerenza la nostra fede possiamo testimoniare che c’è più gioia nel dare che nel ricevere, che le ingiustizie non sono invincibili, che il male si vince solo con il bene. "Allora brillerà fra le tenebre la nostra luce, la nostra tenebra sarà come il meriggio" (Cf. Is 58,10).
9 luglio 2024
GKN, comunicato dell'Ufficio di Pastorale Sociale della Diocesi
Nei tre anni che sono trascorsi dal licenziamento dei dipendenti dello stabilimento GKN di Campi Bisenzio, molte cose sono cambiate, compresa la titolarità della fabbrica - che da dicembre 2021 è divenuta QF spa - ma ad oggi non c’è nessun cambiamento in merito alla possibilità concreta di una prospettiva di ripresa in tempi rapidi.
La Chiesa, che non ha competenza per valutare proposte e offrire soluzioni tecniche alle diverse questioni, ritiene suo dovere farsi voce delle lavoratrici e dei lavoratori che vivono il dramma di questa situazione: da tempo non ricevono il loro stipendio e guardano con preoccupazione al proprio futuro.
In questi tre anni, oltre ai momenti e le dichiarazioni pubbliche, la diocesi ha seguito con attenzione la vicenda attraverso un costante contatto con il sindacato e, in vario modo, ponendosi in ascolto dei lavoratori e della RSU, come ha fatto nei giorni scorsi anche l’Arcivescovo, Monsignor Gherardo Gambelli.
Il fatto che le relazioni industriali si siano gravemente compromesse, rendendo difficile individuare la strada per uno sbocco positivo per tutti i dipendenti, per il sito produttivo e per l’intero territorio, esige un doveroso supplemento di responsabilità di tutte le parti in causa.
Chi ha la competenza di riunire tutte le parti è necessario che lo faccia al più presto. È urgente che lavoratori, sindacati, azienda e istituzioni, locali e nazionali, si siedano allo stesso tavolo, con lo spirito di trovare un punto di incontro da cui partire per sbloccare la situazione.
Per non perdere l’orizzonte e individuare un percorso concretamente possibile, è indispensabile che le parti non rimangano prigioniere del conflitto, ma si sforzino di ricercare insieme una sintesi superiore: «I conflitti ci portano a camminare nei labirinti e dal labirinto si esce da sopra e non da soli» (papa Francesco, 20 Maggio 2024).
9 luglio 2024
Messa di suffragio per gli arcivescovi fiorentini defunti
L'omelia dell'arcivescovo Gherardo Gambelli
L’arcivescovo Gherardo Gambelli ha presieduto martedì 9 luglio, alle 18, nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, a Firenze, la Messa di suffragio per gli arcivescovi fiorentini defunti, nel giorno dell’anniversario della morte del cardinale Silvano Piovanelli (9 luglio 2016).
"Pregare Dio per i vivi e per i morti è una delle sette opere di misericordia spirituale, ed è bello farlo tutti insieme oggi in questa celebrazione in cui ricordiamo gli Arcivescovi defunti della nostra Diocesi. Come dice papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia: “Pregare per i defunti può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore”. La nostra preghiera di suffragio si accompagna dunque alla fiducia che anche loro, in questo momento, pregano per noi e ci sostengono nel cammino della vita, nell’attesa di poter un giorno condividere con tutti i santi la gioia eterna, la vittoria sul male e sulla morte. “Quanto meglio viviamo su questa terra, tanto maggiore felicità potremo condividere con i nostri cari nel cielo. Quanto più riusciremo a maturare e a crescere, tanto più potremo portare cose belle al banchetto celeste”, sono ancora parole del Papa. I testi della Liturgia della Parola che abbiamo ascoltato possono aiutarci a vivere con più coerenza la risposta alla chiamata di Dio, a collaborare con più coraggio alla realizzazione del suo Regno.
Il profeta Osea nella prima lettura denuncia il peccato di idolatria che si nasconde spesso dietro un atteggiamento apparentemente religioso: “Efraim ha moltiplicato gli altari, ma gli altari sono diventati per lui un’occasione di peccato. Offrono sacrifici e ne mangiano le carni”. Lo scopo di questa forte denuncia profetica è proprio quello di smascherare quell’atteggiamento ambiguo di chi vuole servire due padroni (Dio e il denaro) e finisce così per ritrovarsi schiavo dei propri idoli. Il Salmo descrive le conseguenze drammatiche di un tale modo di vivere che conduce colui che lo pratica a degradarsi fino a diventare come l’idolo da lui adorato: “Diventino come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida”. Il cammino di conversione, al quale il Signore ci chiama, comincia proprio dal prendere coscienza del male che noi stessi ci procuriamo allontandoci da Lui sorgente di acqua viva. La parola peccato dal latino pes captum indica questo piede bloccato di cui facciamo esperienza ogni volta che non mettiamo Dio al primo posto. Osea parla a questo proposito di un contro-esodo: “dovranno tornare in Egitto”. È questa la situazione in cui ci troviamo, nella quale il Signore viene a visitarci, mostrandoci il suo amore di padre con un cuore di madre: “Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri Israele? …Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira”. Nella preghiera di stasera possiamo chiedere questa grazia di accogliere più profondamente l’amore del Signore che è sempre asimmetrico, ci accoglie per quello che siamo e ci aiuta così a superare i nostri sensi di colpa.
Il muto indemoniato guarito da Gesù di cui ci parla il Vangelo di oggi è ancora un’immagine dell’uomo idolatra che si è corrotto diventando sterile: “Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Le loro mani non palpano, i loro piedi non camminano”. Davanti all’azione di liberazione di Gesù, i farisei vogliono spengere lo stupore delle folle dicendo: “Egli scaccia i demoni per opera del principe dei demoni”. Davanti a queste accuse, simili a quelle rivoltegli dagli abitanti di Nazaret di cui ci parlava il vangelo di domenica scorsa: “Non è costui il falegname? Il figlio di Maria?”, Gesù mostra il suo amore più forte del male, proprio mettendosi in cammino, percorrendo città e villaggi, annunciando il vangelo del Regno. Come ci ricorda ancora papa Francesco: “La missione è l’ossigeno della vita cristiana. La tonifica e la purifica”.
C’è una bella testimonianza del Card. Piovanelli citata nel libro “Il parroco Cardinale” a cura di Marcello Mancini e Giovanni Pallanti che ci parla proprio di questa forza risanatrice della missione. «Negli anni dell'immediato post-Concilio e della contestazione studentesca e sociale, anch'io, qualche volta mi sono sentito contestato come parroco: 'Dov'è la comunità?'”. Il nostro è un cristianesimo fatto di tradizioni, i contestatori dicevano che bisognava smantellarlo: 'La parrocchia e senza futuro si può ricominciare solo ripartendo da zero'. Quante volte, dopo essermi rigirato nella mente tutti quegli interrogativi e quei giudizi senza riuscire a prendere sonno, la mattina ho ritrovato fiducia, celebrando con la gente: vedendo uomini e donne, giovani e anziani, attenti alla Parola, gioiosi nel cantare la fede, capace di un silenzio assoluto nei momenti richiesti; e riconoscendo uomini rotti dalla fatica del lavoro, ma fedelissimi all'incontro domenicale, con occhi vivi e gioiosi, nei volti rugosi oscuri, donne fedeli alla loro casa e ai figli, capaci di dirti poche parole, ma piene di fede evangelica (come una donna che aveva gridato la sua fede davanti al cadavere del marito suicida). E c'è poi quello che è malato, ma finché ha forza viene a messa, poi quella che non ha più pace in casa e viene a cercarla in chiesa, chi è lì perché la morte gli ha portato via la persona più cara, chi t'ha chiesto di poter lavorare per gli altri, chi viene a salutare perché sta per partire, chi ti domanda mezz'ora per confidarti il suo problema o l'altro che vuole un po’ di tempo per confessarsi bene. Guardavo questa gente e dicevo: ecco il popolo di Dio!».
Nella parte finale del Vangelo di oggi il Signore ci invita alla preghiera perché davanti alla sproporzione fra i mezzi e il fine: la messe abbondante e i pochi operai, sappiamo sempre riconoscere la presenza di Gesù che ci precede nella missione e dice anche a noi, come a Paolo a Corinto: “Non aver paura, continua a parlare e non tacere… perché in questa città io ho un popolo numeroso” (At 18,10).
Invochiamo l’intercessione di Maria SS.ma perché ci aiuti a avere questo sguardo contemplativo sulle persone che il Signore ci affida, perché dicendo anche noi: “Ecco il popolo di Dio”, possiamo un giorno essere riconosciuti e accolti dal Padre con Gesù: “Questi è il Figlio mio l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”.
4 luglio 2024
Arcivescovo Gambelli su morte giovane in carcere
"Ho appreso con grande dolore la notizia della morte di un ragazzo di soli 20 anni a Sollicciano. Mentre preghiamo per lui e rivolgiamo un pensiero alla sua famiglia, non possiamo continuare ad accettare che tante persone disperate si tolgano la vita in carcere. Purtroppo queste morti confermano una situazione drammatica e condizioni insostenibili in tanti penitenziari italiani, criticità che da tempo vengono denunciate e che ho verificato personalmente come cappellano. Ancora una volta rivolgiamo un accorato appello a tutti coloro che hanno il potere di fare qualcosa perché in carcere vengano rispettati i diritti umani e la dignità delle persone, perché ai detenuti che scontano una pena non sia tolta la speranza della redenzione". Mons. Gherardo Gambelli, Arcivescovo di Firenze
29 giugno 2024
Papa Francesco consegna il pallio all'Arcivescovo mons. Gambelli
L'Arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli ha ricevuto questa mattina il pallio da Papa Francesco durante la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro.
Come ormai da tradizione, in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, il Papa ha benedetto e consegnato agli Arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno i palli che verranno poi imposti ai vescovi nelle rispettive sedi dal Nunzio Apostolico.
Il pallio è un paramento liturgico, una fascia di lana bianca con le croci nere, indossata dal Papa e dagli Arcivescovi metropoliti, che indica il legame speciale tra il Vescovo di Roma e le singole arcidiocesi metropolitane.
Dopo il pranzo insieme, nel pomeriggio, l'Arcivescovo Gambelli andrà nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura con i fedeli della diocesi di Firenze arrivati in autobus per partecipare alla celebrazione della mattina, per accompagnarlo in questo momento di particolare significato. In Basilica un momento di fraternità e preghiera, festeggiato dai fiorentini per poi rientrare a Firenze.
Queste le parole di mons. Gambelli al termine della celebrazione:
"Oggi è stata per me una grande emozione, è sempre una gioia incontrare il Papa, ma anche tanti arcivescovi e vescovi provenienti da vari paesi del mondo. Nella Basilica di San Pietro si respira l'universalità della Chiesa, il fatto che tutti siamo a servizio di un'unica missione. Quando c'è stato il momento dell'incontro diretto, Papa Francesco ha voluto ancora incoraggiarmi dicendo: "vai avanti, so che sei stato un grande missionario, adesso la tua missione è qui e devi portarla avanti". Queste parole per me sono state di grande conforto e sostegno. Era la seconda volta che incontravo il Papa, avevo avuto modo di fargli solo un breve saluto al termine dell'Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana a cui ho partecipato come vescovo eletto".
26 giugno 2024
Omelia mons. Gambelli a Barbiana anniversario morte don Milani
"Ringrazio e saluto il presidente della Fondazione don Milani per avermi invitato a presiedere questa Eucaristia nel giorno in cui facciamo memoria della morte di don Lorenzo Milani. Saluto cordialmente il parroco di Vicchio, i confratelli preti e tutti voi che partecipate a questa celebrazione.
Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, ci ricorda che “fa molto bene fare memoria del bene”. Siamo qui riuniti per questo motivo: fare memoria del bene che don Lorenzo ha compiuto nella sua vita terrena. Il nostro sguardo, tuttavia, non è rivolto solo al passato; piuttosto, il ricordo ci spinge a vivere intensamente il presente con passione e entusiasmo in questo nostro tempo di cambiamento d’epoca. Le letture che abbiamo ascoltato ci illuminano in questo nostro cammino.
La prima lettura tratta dal Secondo libro dei Re ci presenta un episodio che avvenne a Gerusalemme al tempo del re Giosia verso la fine del VII secolo a. C. Questo re santo e giusto aveva iniziato una riforma religiosa che prevedeva anche dei lavori di restauro del Tempio di Gerusalemme. Nel corso di questi lavori viene ritrovato un rotolo con le parole del libro della legge. Gli studiosi della Bibbia ritengono che si tratti della parte centrale del libro del Deuteronomio, i capitoli 12-26, che erano stati persi, o più probabilmente dimenticati dalle autorità religiose e dal popolo. Si tratta di una serie di norme che Mosè aveva trasmesso al popolo, proprio mentre stava per entrare nella terra promessa, alla fine dei quarant’anni trascorsi nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto. Lo scopo principale di questa legge è quella di aiutare il popolo a vivere nella terra con la stessa mentalità del deserto, a ricevere tutto come un dono, che si rinnova ogni giorno proprio come la manna durante il cammino dell’esodo.
Il capitolo 20 del Deuteronomio è un testo di una sorprendente attualità perché parlando dell’eventualità di entrare in guerra, introduce tutta una serie di condizioni da assolvere precedentemente che rendono praticamente quasi impossibile farlo. Cito un passaggio di questo capitolo: “Quando andrai in guerra contro i tuoi nemici […]. Gli scribi diranno al popolo: "C'è qualcuno che abbia costruito una casa nuova e non l'abbia ancora inaugurata? Vada, torni a casa, perché non muoia in battaglia e un altro inauguri la casa. C'è qualcuno che abbia piantato una vigna e non ne abbia ancora goduto il primo frutto? Vada, torni a casa, perché non muoia in battaglia e un altro ne goda il primo frutto. C'è qualcuno che si sia fidanzato con una donna e non l'abbia ancora sposata? Vada, torni a casa, perché non muoia in battaglia e un altro la sposi". Gli scribi aggiungeranno al popolo: "C'è qualcuno che abbia paura e a cui venga meno il coraggio? Vada, torni a casa, perché il coraggio dei suoi fratelli non venga a mancare come il suo". Mi sembra che l’articolo 11 della nostra Costituzione italiana faccia eco a questo capitolo 20 del Deuteronomio: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Chissà? Forse anche noi, come il popolo d’Israele abbiamo perso questo testo? Ci sarà qualcuno capace di ritrovarlo, di suscitare in noi questo sentimento di ripudio della guerra e del male? Ognuno si chieda: “E se cominciassi a farlo io, oggi, proprio là dove vivo?”.
Il Signore Gesù nel testo del vangelo, parlando dei falsi profeti, ci dice che vengono a noi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Il vero profeta si presenta all’opposto come qualcuno che è duro all’esterno, ma tenero interiormente e solo chi ha il coraggio di lasciarsi inquietare nelle false paci della coscienza, può portare frutto nella sua vita. Il profeta è colui cha parla a nome di Dio davanti al popolo, si trova in mezzo a questi due fuochi e ciò spiega perché dovendo vivere questa duplice fedeltà, egli conosca molto spesso la sofferenza, l’incomprensione e la solitudine.
C’è un testo molto bello di Madeleine Delbrel che parla di questa duplice fedeltà facendo ricorso a un’immagine, quella del cane lupo.
“Quando un gregge è piccolo e le pecore sono docili e vi sono pochi lupi o non ve ne sono affatto, il pastore può far a meno del cane. Quando il gregge è grande e le pecore sono vagabonde, non una sola ma a branchi, e i lupi sono numerosi, bisogna che il pastore abbia un cane e magari più di uno. I cani somigliano sempre ai lupi, e spesso i migliori cani da pastore sono proprio i cani lupi. È quel che hanno conservato del lupo che permette loro di fare per il pastore ciò che lui stesso non farebbe: fiutano, corrono, si arrampicano alla maniera degli animali che sono. Ma è quel che il pastore ha comunicato loro di se stesso che fa di essi dei cani da pastore: amare le pecore come un pastore o come un lupo, non è affatto la stessa cosa. È condividendo un po’ la vita del pastore che il cane rimane un cane e non diventa un lupo. Non vive più nei boschi, ma accanto alla casa del pastore. Si nutre del cibo dell’uomo. Ode la voce dell’uomo. È l’uomo che lo chiama senza tregua a sé, è l’uomo che lo manda incessantemente alle frontiere del gregge. I suoi due estremi sono la testa del gregge e i piedi del pastore. Le pecore non possono né ritrovarsi le une le altre, né difendersi. Ma non diventeranno mai lupi. I cani possono ritrovare le pecore e difenderle, ma c’è sempre un lupo nascosto dentro di loro; possono tornare ad esserlo. Ai piedi di San Domenico, in San Pietro a Roma, c’è un cane simbolo della sua missione. L’ovile della Chiesa, in certi periodi, ha bisogno di cani da pastore. In queste ore, il Signore li ha sempre fatti sorgere. Se sono fedeli, li si riconoscerà sempre da due cose: le spine e i morsi sulle zampe, il segno del collare intorno al collo. Come tutti i cani pastori, porteranno la contraddizione di essere al tempo stesso gli amici dell’uomo e gli antichi abitatori della giungla. Come tutti i cani pastori, un giorno o l'altro riceveranno la «correzione» del pastore... perché non possono capire tutto ciò che egli dice. Come tutti i cani da pastore, saranno disprezzati, ai margini del bosco, un giorno, una sera, a causa del collare dell’uomo”.
Mi colpisce sempre nella vita di don Lorenzo la sua fedeltà alla Chiesa, soprattutto per l’assoluta necessità del sacramento della riconciliazione. Il Signore ci aiuti a vivere come lui questo grande amore per la Chiesa attraverso la quale riceviamo la grazia di Cristo, perché innestati in Lui portiamo frutti di vita eterna e collaboriamo alla realizzazione del suo regno di giustizia e di pace".
24 giugno 2024
Il 24 giugno, solennità di San Giovanni Battista, patrono della città di Firenze, don Gherardo Gambelli riceverà l’ordinazione episcopale, si insedierà sulla cattedra e prenderà possesso dell'Arcidiocesi di Firenze.
Il vescovo ordinante principale sarà il card. Giuseppe Betori, Amministratore Apostolico dell’Arcidiocesi Metropolitana di Firenze; con lui, co-consacranti nell’ordinazione saranno il card. Gualtiero Bassetti, già presidente della CEI e arcivescovo emerito della diocesi di Perugia-Città della Pieve; mons. Paolo Bizzeti, Vicario apostolico dell’Anatolia, in Turchia; mons. Giovanni Roncari, vescovo di Grosseto e di Pitigliano-Sovana-Orbetello; mons. Dominique Tinoudji, vescovo di Pala, in Ciad.
Concelebreranno altri 25 cardinali e vescovi (card. Loiudice e altri 14 vescovi della CET, mons. Claudio Maniago, arcivescovo di Catanzaro - Squillace, mons. Andrea Bellandi, arcivescovo di Salerno - Campagna – Acerno, mons. Ivan Maffeis arcivescovo della diocesi di Perugia - Città della Pieve, 4 vescovi del Ciad, mons. Joseph Pandarasseril, vescovo ausiliare di Kottayam, in Kerala (India) di rito syro malabarese). Partecipa come assistente alla celebrazione il card. Ernest Simoni. E’ presente il Metropolita Polykarpos, Arcivescovo ortodosso d’Italia ed Esarca dell’Europa Meridionale, residente a Venezia, in rappresentanza di sua santità il Patriarca Bartolomeo I.
Passiamo a descrivere i momenti più importanti della ricca e significativa liturgia del rito di ordinazione: l’esibizione e la lettura del mandato del Papa, ovvero della Bolla di nomina, al clero e ai fedeli; la volontà dell’ordinando espressa davanti a tutti i vescovi e ai fedeli di esercitare il ministero secondo l’intenzione di Cristo e della Chiesa, in comunione con il collegio episcopale, con a capo il Papa, successore di Pietro; l’imposizione delle mani del consacrante principale e dei vescovi presenti sul capo di don Gambelli e la preghiera di ordinazione attraverso cui verrà conferito l’episcopato, momento in cui don Gambelli avrà sopra il capo il libro dei Vangeli aperto, sostenuto da due diaconi, ad indicare che il suo ministero è all’insegna della Parola di salvezza.
Al termine della Preghiera di Ordinazione don Gherardo Gambelli sarà vescovo.
Seguiranno i riti esplicativi ovvero l’unzione con il Sacro Crisma sul capo del nuovo vescovo per significare la sua particolare partecipazione al sacerdozio di Cristo; la consegna del libro dei Vangeli, come mandato ad annunciare sempre la Parola del Signore; la consegna dell’anello, simbolo sponsale della fedeltà del nuovo Pastore alla sua Chiesa; l’imposizione della mitra che richiama l’impegno alla santità e la consegna del pastorale che evidenzia il ruolo di capo nel governare la Chiesa particolare di Firenze
A questo punto l’Arcivescovo Gherardo sarà invitato a sedere sulla cattedra episcopale che rappresenta la sede dell’insegnamento del vangelo di Cristo, con la parola, la vita e la testimonianza. Infine con l’abbraccio di pace che l’ordinato vescovo Gherardo riceverà da tutti i vescovi presenti porrà il sigillo al suo pieno inserimento nel Collegio dei vescovi. Dopo i vescovi una rappresentanza della comunità diocesana scambierà con il vescovo un saluto di accoglienza.
415 saranno i sacerdoti (diocesani, religiosi ed extra diocesani) che concelebreranno la Santa Messa; 44 invece i diaconi permanenti che saranno presenti.
Il servizio liturgico sarà garantito dai seminaristi del Seminario Arcivescovile fiorentino, insieme alla sezione missionaria di Scandicci, e ai seminaristi di altre diocesi toscane.
L’animazione liturgico-musicale sarà curata, invece, dalla Cappella della Cattedrale e dai cori delle parrocchie della diocesi, diretti dal maestro Michele Manganelli.
Per volontà di mons. Gambelli, le offerte raccolte durante la celebrazione saranno devolute per la realizzazione di una sala per la pastorale giovanile presso il Vicariato apostolico di Mongo, in Ciad.
Il prossimo 29 giugno il vescovo Gambelli parteciperà alla celebrazione eucaristica presso la basilica di San Pietro, presieduta da Papa Francesco, in cui verranno benedetti i palli, particolare insegna liturgica simbolo di un legame speciale di ogni Arcivescovo Metropolita con il successore di Pietro. Appena possibile, il Nunzio apostolico a nome del Papa, presiederà una celebrazione nella nostra Cattedrale in cui imporrà il Pallio al vescovo Gambelli.
Il 24 giugno, solennità di San Giovanni Battista, patrono della città di Firenze, don Gherardo Gambelli riceverà l’ordinazione episcopale, si insedierà sulla cattedra e prenderà possesso dell'Arcidiocesi di Firenze.
Il vescovo ordinante principale sarà il card. Giuseppe Betori, Amministratore Apostolico dell’Arcidiocesi Metropolitana di Firenze; con lui, co-consacranti nell’ordinazione saranno il card. Gualtiero Bassetti, già presidente della CEI e arcivescovo emerito della diocesi di Perugia-Città della Pieve; mons. Paolo Bizzeti, Vicario apostolico dell’Anatolia, in Turchia; mons. Giovanni Roncari, vescovo di Grosseto e di Pitigliano-Sovana-Orbetello; mons. Dominique Tinoudji, vescovo di Pala, in Ciad.
Concelebreranno altri 25 cardinali e vescovi (card. Loiudice e altri 14 vescovi della CET, mons. Claudio Maniago, arcivescovo di Catanzaro - Squillace, mons. Andrea Bellandi, arcivescovo di Salerno - Campagna – Acerno, mons. Ivan Maffeis arcivescovo della diocesi di Perugia - Città della Pieve, 4 vescovi del Ciad, mons. Joseph Pandarasseril, vescovo ausiliare di Kottayam, in Kerala (India) di rito syro malabarese).
Partecipa come assistente alla celebrazione il card. Ernest Simoni. E’ presente il Metropolita Polykarpos, Arcivescovo ortodosso d’Italia ed Esarca dell’Europa Meridionale, residente a Venezia, in rappresentanza di sua santità il Patriarca Bartolomeo I.
Presenti tutti i vescovi della Cet tranne mons. Simone Giusti (Livorno) e mons. Giovanni Paccosi (San Miniato).
Mons. Franco Agostinelli (Prato), mons. Roberto Filippini (Pescia), mons. Riccardo Fontana (Arezzo-Cortona-Sansepolcro), mons. Mario Meini (Fiesole)
Mons. Dominique Tinoudji (Pala), mons. Goetbé Edmond Djitangar (N'Djamena), mons. Martin Waingue Bani (Doba), mons. Samuel Mbairabe Tibingar (Koumra)
415 saranno i sacerdoti (diocesani, religiosi ed extra diocesani) che concelebreranno la Santa Messa; 44 invece i diaconi permanenti che saranno presenti.
Associazioni
Una rappresentanza di associazioni di persone disabili e ammalati: Associazione Cinque Pani e Due Pesci, Associazione Volontari Gruppo Elba, Comunità di Sant'Egidio, Piccola Casa Divina Provvidenza, Fondazione Opera Diocesana Assistenza, Fondazione San Sebastiano, Istituto Don Orione, Ente Nazionale sordi. La messa è tradotta nella lingua dei segni. A coordinare tutte le associazioni in Cattedrale sono stati i volontari dell'Unitalsi.
In Cattedrale anche una rappresentanza di detenuti di Sollicciano.
Pastorale
Il pastorale è in legno di ebano, sulla sommità, nel ricciolo è inserito un virgulto di olivo in argento con al centro una croce ispirata all'aureola del Cristo Giudice del mosaico del Battistero. Al centro della croce sono incastonate due pietre dure blu di Sodalite. Il legno e la pietra, caratteristici dell'Africa, rimandano alla missione in Ciad dell'Arcivescovo. Le parti in argento sono state studiate e realizzate dalla Scuola di Arte Sacra di Firenze. Il pastorale è un dono del card. Giuseppe Betori.
Anello
L'anello vescovile in argento rappresenta un libro aperto, il Vangelo e sulle due pagine è rappresentata l'Annunciazione, l'immagine incisa si ispira all'affresco della Basilica della Santissima Annunziata, con la figura dell'arcangelo Gabriele e la Vergine Maria. Richiami alla Parola incarnata e al cuore mariano di Firenze. Il gambo dell’anello invece è lavorato come una grata, e riprende il disegno dello stemma vescovile che simboleggia sia il ministero svolto come cappellano in carcere, che la città di Castelfiorentino, in riferimento alla patrona Santa Verdiana. Sul gambo è inciso anche il motto scelto dall'Arcivescovo “Omnia cooperantur in bonum”. L'anello, realizzato da Penko Bottega Orafa Artigiana è un dono della diocesi.
Croce pettorale
La croce pettorale è stata realizzata nell'ambito del progetto "Croce della speranza" promosso dall'Ufficio Ispettorato Generale dei Cappellani delle carceri, con il supporto dell'Accademia Internazionale Arti e Restauro. I laboratori per la realizzazione delle croci pettorali, che vengono consegnate ai vescovi impegnati nella pastorale penitenziaria, sono stati installati nel carcere minorile di Casal del Marmo e nel Nuovo Complesso di Roma Rebibbia in cui sono occupati diversi detenuti.
Mitria
La mitria è arricchita da decorazioni ispirate alle tarsie marmoree della Cattedrale di Santa Maria del Fiore ed è stata realizzata dalle monache del Monastero di Santa Maria a Rosano. La mitria è un dono dei sacerdoti.
Casula
La casula è arricchita da decorazioni ispirate alle tarsie marmoree della Cattedrale ed è stata realizzata dalle monache del Monastero di Santa Maria a Rosano. La casula è un dono dell'Opera di Santa Maria del Fiore.
Dalmatica
La dalmatica, la veste liturgica propria del diacono è stata realizzata dalle monache del Monastero di Santa Maria a Rosano ed è stata donata all'Arcivescovo dai diaconi fiorentini.
Il saluto del nuovo Arcivescovo alle Autorità
"Signor Sindaco di Firenze, Signor Presidente della Regione Toscana, Eccellenza signor Prefetto, autorità civili e militari, Signori Sindaci dei comuni presenti nel territorio dell’Arcidiocesi di Firenze.
In questo giorno di festa per la nostra città di Firenze che segna per me l’inizio del mio ministero come Vescovo, desidero rivolgere alle autorità e alle istituzioni presenti sul territorio dell’Arcidiocesi il mio più caro saluto.
Il luogo scelto per questo nostro primo incontro ufficiale ha un valore altamente simbolico. Nel Codice Rustici, un manoscritto antico, conservato nella Biblioteca del Seminario Arcivescovile, il racconto di viaggio a Gerusalemme di un orafo fiorentino, Marco Rustici, è illustrato con una serie di immagini suggestive che ci offrono uno sguardo sulla Firenze del Quattrocento, nel pieno fiorire della cultura dell’Umanesimo e del Rinascimento. Quella relativa all’Oratorio del Bigallo ci presenta le Confraternite caritatevoli della Misericordia e del Bigallo che si erano unite nel 1425 e si occupavano dei piccoli smarriti o abbandonati. I quattro protagonisti delle scene di misericordia sono gli unici personaggi della Firenze del tempo raffigurati da Rustici a sottolineare l’importanza delle pratiche caritatevoli. Colpisce in particolare l’immagine di una donna incaricata di accogliere un bambino nei locali messi a disposizione, che si mette in ginocchio e lo abbraccia con un visibile sorriso. Ieri come oggi, in tempi difficili come quello che stiamo vivendo, di cambiamento d’epoca, non basta fare il bene, bisogna fare bene il bene.
Nel ringraziare di cuore tutte le autorità e le istituzioni presenti sul territorio per il loro impegno a servizio del bene comune, desidero rivolgere a tutti e a tutte, particolarmente a quanti stanno per iniziare a svolgere un nuovo incarico, i miei più sinceri auguri di buon lavoro. Per quel che mi riguarda esprimo qui, ancora una volta, la mia ferma volontà di collaborare con tutte le persone di buona volontà nell’impegno per la costruzione di una società sempre più giusta e fraterna.
Le opere artistiche della nostra città, come il Codice Rustici, ci ricordano che solo quanto è stato compiuto con gioia nel rispetto e nell’attenzione ai poveri, agli emarginati e agli esclusi rimane ed è degno di essere ricordato. Che ognuno di noi sappia trarre dal proprio bagaglio spirituale e culturale le risorse migliori per fare in modo che la bellezza di Firenze risplenda non solo nei suoi monumenti, ma anche e soprattutto nei suoi cittadini, e da qui diffondersi, come germoglio di giustizia e di pace nel mondo".
Cattedrale di Santa Maria del Fiore
Solennità della Natività di San Giovanni Battista, patrono di Firenze
Ordinazione episcopale e immissione in possesso dell’arcivescovo Gherardo Gambelli
24 giugno 2024
(Is 49,1-6; Sal 138; At 13,22-26; Lc 1,57-66.80)
OMELIA
Che l’ordinazione episcopale del nuovo arcivescovo di Firenze avvenga nel giorno in cui la città celebra la solennità della Natività di San Giovanni Battista suo patrono, è un invito a guardare al ministero del vescovo alla luce della figura del Precursore del Signore. È un riferimento alto, caro don Gherardo, ma che non deve intimorirti, piuttosto deve far sentire la tua vita inserita nel mistero del disegno d’amore in cui Dio coinvolge la nostra umanità.
Punto di partenza della nostra riflessione non può che essere l’evento stesso della nascita del Battista, titolo di questo giorno di festa. Una nascita, quella del Battista, il cui significato si concentra nel nome che l’angelo ha affidato al padre e che questi difende con decisione. «Lo chiamerai Giovanni» (Lc 1,13), aveva detto l’angelo a Zaccaria, e questi quindi, di fronte alla sollecitazione dei più – oggi lo chiameremmo opinione pubblica, pensiero dominante – afferma con decisione: «Giovanni è il suo nome» (Lc 1,63); Giovanni, jehô?anan, “il Signore si mostra benevolo, fa grazia, usa misericordia”. Alla radice dell’esistenza del Battista c’è un gesto di favore, di sollecitudine, di Dio verso i suoi genitori, liberati dalla sterilità, e poi verso l’umanità, a cui il nuovo nato dovrà annunziare la venuta del Messia. L’esistenza di Giovanni è grazia, e grazia è il ministero che, attraverso la Chiesa, il Signore ti affida, caro don Gherardo. Non temere, perché ciò che accade tra poco per te è dentro un disegno divino che ti ha scelto per farti strumento di grazia e di misericordia per il popolo fiorentino. Collocare la tua persona e il tuo ministero a favore di questo popolo dentro un orizzonte di grazia e di misericordia, ti libera dai timori che nascono di fronte alla consapevolezza dei limiti della nostra natura umana, dall’ansia della prestazione e dei risultati, dal dover fare i conti con il giudizio degli altri. Tutto è grazia in quel che oggi accade e in ogni momento del tuo servizio alla Chiesa e alla gente di Firenze. La sorgente divina di questa grazia è inesauribile e ti permette di avviarti nel tuo ministero con fiducia.
Conosciamo poi come Giovanni ha dato forma alla sua missione. Anzitutto nel condurre a Cristo sé stesso e quanti accorrevano alla sua predicazione. Egli è il Precursore, «voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore» (Lc 3,1; cfr. Is 40,3). Anche in questo, caro don Gherardo, il Battista ti sia di esempio. Ogni servizio nella Chiesa, il ministero del vescovo in particolare, ha come unica finalità preparare l’incontro degli uomini e delle donne con Cristo.
La Chiesa, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, «è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1), un’affermazione che decentra la Chiesa da sé stessa e, nel contempo, la proietta verso orizzonti teologali e storici senza confini, ma tutto a partire dal suo centro, cioè dal suo capo, Cristo. Tutto in Cristo e quindi tutto verso di lui, che è all’origine e al compimento delle parole e dei gesti di salvezza in cui si esplicita il ministero.
Non hai molto da interrogarti, caro don Gherardo, su quali forme debba assumere il tuo episcopato. Esso ha un solo scopo e una sola forma: annunciare Cristo e condurre a lui quanti ti sono affidati come suo e tuo gregge. Questo nella convinzione della tua rappresentanza di lui, come suggerisce il Pontificale Romano nel Rito dell’Ordinazione del vescovo: «È Cristo infatti che nel ministero del vescovo continua a predicare il Vangelo di salvezza e a santificare i credenti mediante i sacramenti della fede; è Cristo che nella paternità del vescovo accresce di nuove membra il suo corpo che è la Chiesa; è Cristo che nella sapienza e prudenza del vescovo guida il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno fino alla felicità eterna».
Il Battista aiuta anche a comprendere quali fattezze debba assumere questa missione. La preparazione della venuta del Messia nel cuore degli uomini, secondo il Battista, esige una conversione. L’appello al ritorno al disegno di Dio implica a sua volta un giudizio sul mondo e il coraggio della denuncia dell’allontanamento da Colui che ne è l’origine come Creatore, la permanenza nell’essere come Redentore, la meta ultima come Signore della storia. È un ritorno alla verità dell’essere quello che Giovanni chiede ai suoi contemporanei e che testimonia anche con una forma di vita in cui tutto è ricondotto all’essenziale, una povertà scelta come distacco da ciò che può allontanare dalla missione affidata.
Non è difficile rapportare tutto questo al ministero di un vescovo, più volte richiesto di pronunciare un giudizio sul mondo, che non dovrà mai essere di condanna ma di salvezza, in quanto richiamo alla verità contro ogni falsificazione della realtà. La manipolazione del reale è probabilmente il dramma del nostro tempo e, proprio perché si vuole essere in cordiale dialogo con questo tempo, dobbiamo anche essere coraggiosi annunciatori della verità, sempre nella carità, ma sempre anche con parresìa.
Non meno importante è però quella forma essenziale, povera, della forma di vita e di configurazione di Chiesa che solo permette ai discepoli di Gesù di farsi vicini ai poveri, agli emarginati, loro compagni di strada, pronti a condividere e non solo a dare. La tua esperienza di ministero come sacerdote, caro don Gherardo, ti aiuterà senz’altro a porre i presupposti di questa conversione anche per tutta la Chiesa fiorentina; in particolare, aver toccato le periferie geografiche e quelle umane nel tuo impegno missionario in Ciad e in carcere, ti servirà a porre lo sguardo soprattutto su chi viene ignorato o scartato, ad annunciare la buona novella a coloro che appaiono gli ultimi per il mondo, ma sono i primi per il Signore.
I vangeli ci parlano poi della presenza di discepoli accanto a Giovanni, discepoli così legati al loro maestro da far fatica ad accogliere un altro maestro, Gesù, colui verso il quale era protesa tutta l’azione del Battista. Un vescovo, un pastore è tale all’interno di una comunità che – lo ricorda spesso Papa Francesco – deve saper precedere indicando la strada, con cui deve crescere nella condivisione, che deve saper ascoltare lasciandosi anche guidare e sempre attento a non perdere nessuno lungo il cammino. Edificare la comunità è opera difficile, ma, ancora una volta, non è opera nostra, bensì del «Pastore grande delle pecore» (Eb 13,10), Cristo. Il gregge è suo e non nostro; a noi vescovi è chiesto di essere suoi rappresentanti. Orientando tutto a lui poniamo le premesse perché la sua azione, che edifica nella carità, produca frutti di comunione.
Tutto questo un vescovo deve vivere con spirito al tempo stesso di paternità e di fraternità, a cominciare dal legame sacramentale con i suoi preti. Sono certo che saprai farlo, perché non ti mancano la sensibilità e la capacità di ascoltare con il cuore, per rispondere al desiderio di ciascuno di ricevere attenzione, di essere riconosciuto, chiamato per nome.
Non possiamo infine dimenticare che il coraggio della verità ha condotto Giovanni al martirio. È significativo il contesto in cui matura l’uccisione del Battista. Erode ne limitava la libertà e lo teneva in prigione, ma – annota il vangelo di Marco – al tempo stesso «Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri» (Mc 6,20). Non è detto che la persecuzione debba per forza assumere l’aspetto del rifiuto e dell’opposizione; essa si può annidare anche all’interno di un’ambigua tolleranza, di una falsa accoglienza, perfino di una qualche forma di equivoco riconoscimento. Poi però tutto precipita quando entra in gioco la difesa di sé stessi e del potere: «[La figlia di Erodiade] entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: “Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista”. Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto» (Mc 6,25-26).
La voce della Chiesa resterà sempre una voce scomoda per le logiche del mondo e, se anche non ci venga chiesto, come a Giovanni, il sacrificio della vita, resta anche per noi il compito di non lasciarci irretire dalla seduzione del consenso o dall’illusione di un ascolto che non produce conversione o di un plauso interessato fino a quando non entra in gioco la propria posizione nel mondo. Giovanni ci insegna che la missione è fondamentalmente dono di sé, senza limiti, alla verità.
Caro don Gherardo, tra poco, nella preghiera di ordinazione, chiederò a Dio: «Effondi ora sopra questo eletto la potenza che viene da te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida […]. Egli ti serva notte e giorno, per renderti sempre a noi propizio e per offrirti i doni della tua santa Chiesa. […] Per la mansuetudine e la purezza di cuore sia offerta a te gradita». Per la potenza del sacramento, queste sono parole efficaci. A te è chiesto solo disponibilità ad accoglierle. Il Signore farà questo per te e, attraverso di te, per la Chiesa fiorentina. Noi tutti ti accompagniamo con l’affetto e la preghiera.
Giuseppe card. Betori
Amministratore Apostolico dell’Arcidiocesi di Firenze
Il saluto del nuovo Arcivescovo al termine della liturgia di ordinazione
Cari Fratelli e Sorelle,
La Provvidenza del Signore ha voluto che la data della mia ordinazione episcopale e del mio ingresso in diocesi coincidessero con la festa di San Giovanni Battista.
Il Vangelo ci ricorda che Giovanni è più che un profeta, non solo perché vede con i suoi occhi il Messia e lo indica presente nel mondo, ma anche perché si fa precursore di tutti coloro che si lasciano interrogare da Gesù sul senso della vita, lasciando che la risposta a questa domanda, plasmi la loro identità più profonda. Giovanni, il cui nome significa “il Signore fa grazia” continua ad aiutarci a preparare la via del Signore Gesù, accogliendo la logica nuova del Vangelo ben riassunta nelle parole del canto di offertorio della Messa di oggi: “Fa che impariamo Signore da te, che più grande è chi più sa servire, chi s’abbassa e si sa piegare, perché grande è soltanto l’amore”. Un proverbio africano dice che “il vento spezza ciò che non sa piegarsi”. La fede nel Signore morto e risorto per la nostra salvezza nutre la nostra speranza nel suo ritorno glorioso e questo ci rende attenti ai segni dei tempi, per collaborare sempre più docilmente con l’azione dello Spirito Santo.
Al momento della nascita di Giovanni, l’evangelista Luca ci dice che tutti coloro che udivano la notizia si interrogavano in cuor loro: “Che sarà mai questo bambino?”. Potremmo oggi parafrasare: “Che sarà mai questo vescovo?” e anch’io, pur conoscendo la mia Diocesi, mi pongo la domanda: “Che saranno mai i fratelli e le sorelle alle quali il Signore mi invia?”.
Mi viene in mente una bella storia. C'era una volta un uomo seduto ai bordi di un'oasi all'entrata di una città del Medio Oriente. Un giovane si avvicinò e gli domandò: “Non sono mai venuto da queste parti. Come sono gli abitanti di questa città?”. Il vecchio gli rispose con una domanda: “Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”. “Egoisti e cattivi. Per questo sono stato contento di partire di là”. “Così sono gli abitanti di questa città”, gli rispose il vecchio.
Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all'uomo e gli pose la stessa domanda: “Sono appena arrivato in questo paese. Come sono gli abitanti di questa città?”. L'uomo rispose di nuovo con la stessa domanda: “Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”. “Erano buoni, generosi, ospitali, onesti. Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a lasciarli”. “Anche gli abitanti di questa città sono così”, rispose il vecchio. Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all'abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si allontanò, si rivolse al vecchio in tono di rimprovero: “Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?”. “Figlio mio”, rispose il vecchio, “ciascuno porta il suo universo nel cuore. Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui. Al contrario, colui che aveva degli amici nell'altra città troverà anche qui degli amici leali e fedeli. Perché, vedi, le persone sono ciò che noi troviamo in loro”.
Proseguiamo il nostro cammino mettendo sempre più Gesù al centro della nostra vita, così sapremo riconoscerci come fratelli e sorelle e saremo testimoni credibili nel mondo della gioia del suo amore.
L’evangelista Luca ci dice che Elisabetta e Zaccaria, negli ultimi tre mesi precedenti alla nascita di Giovanni, hanno avuto la grazia della visita di Maria. Nel Nuovo Testamento la figura di Maria è spesso presentata come un’immagine della Chiesa. Posso dire con tutta sincerità che questi due mesi di preparazione all’ordinazione episcopale sono stati per me un tempo di grazia in cui ho fatto esperienza della vicinanza di Maria nella mia vita, attraverso la preghiera di tanti fratelli e sorelle che mi hanno sostenuto. Nel ringraziamento per questo aiuto ricevuto attraverso la vicinanza e l’affetto, penso di poter includere tante persone, in particolare i miei genitori, i miei familiari, i membri dalla famiglia di Dio che è la Chiesa soprattutto i confratelli preti, i consacrati e le consacrate, i diaconi, i seminaristi, così come i fratelli e le sorelle di altre confessioni cristiane e di altre religioni.
Ringrazio il Cardinale Giuseppe Betori per la sua generosità e saggezza nel ministero episcopale, particolarmente in questi 16 anni come pastore della nostra diocesi e per la sua delicatezza nell’accompagnarmi ad assumere l’incarico come suo successore. Grazie al Cardinale Bassetti che mi ha accolto in seminario nel 1989, al Cardinale Antonelli e al Cardinal Simoni per la loro presenza e il loro servizio a Firenze. Ringrazio tutti i Vescovi presenti, particolarmente quelli della Toscana, che mi hanno manifestato fin dall’inizio vicinanza e sostegno fraterno. Un grazie speciale ai Vescovi che vengono da altre regioni, da altre nazioni e soprattutto da altri continenti, in particolare quelli provenienti dall’Asia e dall’Africa. La presenza di quattro Vescovi ciadiani, insieme a Monsignor Henri Coudray, Vicario Apostolico emerito di Mongo, di numerosi preti e di alcuni laici di queste giovani Chiese, mi riempie di gioia e di commozione. Il Cardinal Piovanelli amava dire di aver fatto l’Università come parroco a Castelfiorentino. La mia Università è stata il Ciad; vorrei rivolgere attraverso di voi i mei più vivi ringraziamenti a tante persone della vostra nazione che, forse senza nemmeno saperlo, mi hanno formato, aiutandomi a capire la bellezza e la forza del Vangelo.
Saluto e ringrazio le autorità civili e militari, gli esponenti delle istituzioni, del mondo della politica e della cultura, in particolare i sindaci dei comuni della nostra Arcidiocesi.
Un ringraziamento particolare all’Opera di Santa Maria del Fiore e a tutti quanti si sono adoperati perché questa celebrazione si realizzasse nel migliore dei modi, e così è stato nel rito, nel canto, nell’accoglienza delle persone, nei servizi più vari, senza dimenticare quello svolto dai giornalisti e dagli operatori dei media.
Rivolgo un pensiero a quanti non hanno potuto essere presenti fisicamente alla celebrazione di oggi, ma che sono in comunione di preghiera con noi, in particolare i preti fidei donum della nostra Diocesi, i malati, le monache di clausura. Un saluto pieno di affetto e di amicizia ai detenuti della casa circondariale di Sollicciano, a quelli qui presenti e a quelli che ci seguono attraverso la diretta streaming.
La gratitudine si rivolge infine e soprattutto al Santo Padre, presente tra noi con la sua benedizione. Nel suo discorso pronunciato proprio in questa Cattedrale il 10 novembre 2015, papa Francesco ci aveva lasciato un’immagine che mi piace riprendere: quella della medaglia spezzata a metà che le mamme consegnavano insieme ai neonati allo Spedale degli Innocenti. E ci ricordava: “Noi abbiamo l’altra metà. Perché la Chiesa madre ha in Italia metà della medaglia di tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati”. Quelle parole del papa, così importanti per tutte le diocesi italiane, lo sono in particolare per noi perché ci "riannodano" alla nostra tradizione più profonda e feconda. Parlo di quell'umanesimo che dopo la distruzione morale e materiale provocata dalla dittatura e dalla guerra seppe rifiorire facendo della nostra città un laboratorio di giustizia sociale e di pace fra le nazioni. Come Chiesa fiorentina continueremo ad attingere a quelle radici per alimentare - in dialogo fattivo con tutti - quel nuovo umanesimo cristiano che consiste nel fare nostri i sentimenti di Cristo (Fil 2,4).
Come dice il papa, infatti, "Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù".
Maria, madre di Gesù e madre nostra aiutaci ad accogliere il tuo Figlio perché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo.
J’adresse mes salutations et mes remerciements à tous mes frères et sœurs tchadiens, en particulier à ceux et celles qui sont ici présents : les évêques les prêtres et les laïcs qui ont fait un long voyage pour participer à cette célébration, à tous ceux et celles qui nous suivent à travers les réseaux sociaux ou qui sont en communion de prière avec nous. J’espère pouvoir bientôt vous rendre visite au Tchad et je m’engage comme Archevêque de Florence à poursuivre notre coopération missionnaire pour le bien de nos Eglises. Merci et que Dieu vous bénisse.
22 giugno 2024
Don Gherardo Gambelli, intervista video alla vigilia dell'ordinazione episcopale
Lunedì 24 diventerà arcivescovo di Firenze
Don Gherardo Gambelli racconta emozioni e attese a due giorni dall'ordinazione episcopale che lunedì 24 giugno 2024 lo vedrà diventare arcivescovo di Firenze.
Qui sotto il link di wetransfer da cui si può scaricare il video (durata due minuti) in versione Mp4 (da usare per tv e siti internet) e il link youtube dove il video è già caricato
https://we.tl/t-AD202Pojig
https://youtu.be/U7-6fXKicdM