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Redazione Met Sport
Intervista a Marco Conti, linea d'attacco dei Guelfi Firenze
Una vita da uomo di linea, una vita lontana dai riflettori
E’ un po’ questa la sintesi della carriera di tutti i linesman del football americano. Poche, pochissime le occasioni per vivere un momento da protagonista. Mai un touchdown, né una corsa o una ricezione spettacolare; sempre lì a prendere e a dare botte, ad aprire o chiudere varchi per gli altri ed a fare da bodyguards alla star della propria squadra, il quarterback. Per parlare meglio del ruolo di queste montagne con i piedi abbiamo scambiato quattro parole con Marco Conti, una delle linee più importanti dei Guelfi Firenze. Giocatore solido ed esperto, che quest’anno sta coronando la sua carriera mettendo a referto le prime presenze nel massimo campionato italiano di questo sport, che pian piano si sta ritagliando un posto sempre più importante all’interno di un’Italia che sembra innalzare il suo livello di ricettività nei confronti degli sport di concezione a “stelle e strisce”. Senza ulteriori indugi passiamo all’intervista:

Gli uomini di linea non sono mai quelli che riempiono le pagine dei giornali, come vivete questa situazione?
“Non abbiamo alcun tipo di stress derivante da quanto hai descritto. Sappiamo che siamo la parte più importante della squadra e da quello che riusciamo a fare dipendono le sorti di tutto l’attacco. Se la linea offensiva non protegge il quarterback questo non avrà il tempo necessario ad effettuare un lancio, se la linea non blocca bene e non apre dei varchi il runner non avrà modo di fare la sua corsa con la palla in mano. Per il sottoscritto non ci sono mai stati problemi nel non essere sotto la luce dei riflettori, siamo ben consapevoli del nostro ruolo e della nostra importanza in campo. Non ci interessa interpretare il ruolo di attori protagonisti, sappiamo che altri reparti suscitano più attenzioni mediatiche rispetto al nostro e lo accettiamo senza rancori”.

Gli sport americani sono, in un certo senso, più democratici perché hanno un ruolo adatto ad ogni fisico. E’ anche per questo motivo che hai deciso di cimentarti nella pratica del football americano?
“Non è esattamente la mia storia. Io ho sempre giocato a calcio prima di darmi a questo sport. Addirittura non avevo mai fatto tale riflessione nella mia testa. Mi trovo su questo campo perché Andrea Benoni mi ha fatto conoscere questo sport e mi è piaciuto, la passione è cresciuta un po’ alla volta ed alla fine ho deciso di cominciare a giocare”.

Quanto è importante per voi avere un uomo di linea oriundo come Adam Ghadban o Paul Vellano?
“Diciamo che i loro apporti sono stati fondamentali per noi, ci hanno aiutato a crescere sia come individualità che come spirito di gruppo. Sotto il profilo personale ammetto di aver ricavato insegnamenti preziosi dal vedere Paul Vellano in azione, l’italo-americano ti fa conoscere i tuoi limiti e ti fa lavorare sui punti deboli che evidenzi. Averlo in squadra per un mese è stato molto interessante. Adam Ghadban invece è un ragazzo bravissimo che si è integrato subito con noi e ci sta dando una grande mano. Posso dire solo cose positive a riguardo di questi due giocatori ed amici”.

Potresti spiegare a chi si approccia ora al football in cosa differisce una linea d’attacco da una linea di difesa?
“Sono ruoli completamente differenti e, allo stesso tempo, complementari. Mentre la linea di attacco cerca di proteggere il quarterback o il portatore di palla, la linea di difesa cerca di arrivare sull’avversario che controlla l’ovale nel minor tempo possibile per poi placcarlo. Sono posizioni antagoniste fra loro”.

Quanto c’è di vostro nelle corse che vediamo fare a Daniel Lee Dobson durante le partite dei Guelfi Firenze?
“Tante volte il nostro quarterback ci mette del suo perché corre in delle situazioni che chiamiamo di ‘gioco rotto’, vale a dire casi in cui lo schema chiamato non è andato a buon fine e non si è realizzata la giocata sperata. In questi casi l’ex St. Olaf è molto bravo nel leggere cosa sta accadendo davanti a lui e se vede una breccia, venutasi a creare per il lavoro della guardia, ci si butta dentro e la sfrutta nel migliore dei modi. Diciamo che, se dovessi ridurre tutto a delle percentuali, andrei con un 60-40 o con un 50% a testa”

19/05/2016 17.51
Redazione Met Sport


 
 


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