Login

MET



Controlli voce Chiudi controlli
: Volume:  1 Velocità  1 Tono:  1
Redazione di Met
23 gennaio, memoria della deportazione degli Ebrei di Livorno
La mattina corteo e deposizione di una "pietra d'inciampo" in ricordo di Matilde Beniacar
La memoria della deportazione degli Ebrei di Livorno “pietra d'inciampo” per un futuro liberato dagli orrori del passato. Con un'attenzione particolare al presente, perchè “chi dimentica il proprio passato è condannato a ripeterlo”.

Martedì mattina 23 gennaio 2018, appuntamento a Livorno alle 10 in via Montedoro 13 (accanto alla Camera di Commercio) per la marcia della memoria a cui è invitata tutta la città.

Dopo un incontro introduttivo, il corteo raggiungerà via Cassuto per la posa della stolpersteine dedicata a Matilde Beniacar, sopravvisuta alla deportazione ad Auschwitz e testimone coraggiosa degli orrori della Shoah.

Infine il corteo raggiungerà alle 11.45 la Sinagoga, in Piazza Benamozegh, per la cerimonia conclusiva.

Durante l’incontro in sinagoga saranno accese le luci della Chanucchà, in memoria delle vittime della Shoah.

La deportazione degli Ebrei livornesi. Cenni storici
Tra il dicembre '43 e il gennaio del '44, si consuma la deportazione degli ebrei livornesi. Tra loro anche un folto gruppo di famiglie ebree, straniere, in realtà di origine italiana, fuggite dalla Turchia in conseguenza dei disordini e dei massacri seguiti alla guerra greco-turca del 1919-1922 e, successivamente, a causa del rimpatrio della popolazione di origine italiana, durante l’occupazione della Grecia nel 1941.

Queste famiglie si erano stanziate a Livorno, probabilmente per antichi legami familiari o materiali con la nostra città. Privi di conoscenza e di radicamento, con pochi mezzi, costoro furono facili prede sia delle leggi razziali che, poi, dei rastrellamenti.

Gli ebrei furono arrestati nelle loro case, per lo più del centro storico, oppure nei luoghi di sfollamento in cui avevano trovato rifugio dopo i bombardamenti disastrosi del maggio e del giugno '43, tra gli altri Gabbro, Guasticce, la montagna pistoiese.

Gli arresti furono tutti opera di fascisti italiani e solo in alcuni casi in collaborazione con i tedeschi. Infatti, dopo il censimento del '38 e per lo stretto controllo di polizia cui erano sottoposti, gli ebrei, livornesi da sempre o solo di origine, erano tutti conosciuti ed erano altrettanto note la loro residenza o il loro domicilio.

Le "pietre d'inciampo" a Livorno

Le stolpersteine, realizzate dall'artista tedesco Gunter Demnig, sono parte del tessuto urbano di Livorno dal 2012. La Comunità di Sant'Egidio ne ha promosso l'installazione, quale atto di omaggio ai concittadini di religione ebraica, deportati nel '43-'44.

L'iniziativa si inserisce nelle diverse attività promosse dalla Comunità perchè la memoria sia una reale pietra di inciampo nel percorso umano e culturale necessario alla costruzione di una città e di una società, attuale e futura, più umana e giusta.

A tale scopo, la manifestazione coinvolge le scuole di ogni ordine e grado e i “nuovi cittadini”, ragazzi e lavoratori immigrati (con le loro famiglie), la cui conoscenza della Shoah non è scontata né sempre condivisa. Lezioni di approfondimento e incontri con gli anziani livornesi ebrei, visite alla sinagoga ed altre iniziative, precedono in genere l'impianto delle stolpersteine.

La Comunità, con questa iniziativa, ha voluto inoltre, inserire Livorno nel numero delle città che hanno valorizzato il proprio contesto urbano, sia dal punto di vista culturale che artistico. Alla stregua di Berlino, Praga, Roma, Livorno ha avuto così una risonanza nazionale e internazionale.

Attualmente sono 10 le pietre di inciampo installate: le prime quattro sono state impiantate nel 2013 e dedicate a due bambine ebree Franca Baruch e Perla Beniacar, un ragazzo, Enrico Menasci, e suo padre Raffaello. Altre due sono state impiantate nel 2014 e dedicate a Isacco Bayona e Frida Misul, testimoni dell'orrore della Shoah per almeno due generazioni di studenti livornesi. Le stolpersteine del 2015 sono state dedicate a Dina e Dino Bueno, quelle del 2017 a Ivo Rabà e Levi Nissim. Quest'anno la pietra di inciampo sarà dedicata alla memoria di Matilde Beniacar.

Matilde Beniacar

Matilde Beniacar nasce a Smirne in Turchia il 18 gennaio 1926 da Moise Beniacar ed Estrea Levi. Ha un fratello e due sorelle , di poco più giovani: Giacomo, Bulissa e Perla.

La famiglia, di origine italiana, conduce una vita agiata, grazie al lavoro del padre, proprietario di una fabbrica di mobili.

Nel 1933 il nascente Stato Turco di Kemal Ataturk li costringe a rimpatriare in Italia, avendo loro scelto di mantenere la cittadinanza italiana e rinunciare a quella turca, condizione posta al permesso di rimanere in Turchia, di lavorare, di studiare.

La loro mèta è Livorno, dove erano nati i nonni.

Ma la vita in città non sarà facile. Nel 1938, pochi anni dopo l'arrivo in Italia, vengono promulgate le leggi razziali. Gli Ebrei vengono discriminati, espulsi dai luoghi di lavoro, dalle scuole e dalle università; viene loro interdetta la possibilità di espatriare, di lavorare e ogni attività pubblica, sono sequestrati i loro beni e bloccati i conti correnti.

Il padre di Matilde che nel frattempo aveva trovato lavoro nella raffineria Anic, viene licenziato.
I figli sono espulsi dalla scuola. Giacomo, Bulissa e Perla prendono a frequentare la Scuola Ebraica.
Matilde invece, che è la più grande, è costretta ad abbandonare gli studi e a cercare lavoro per sostentare la famiglia. Trova così un impiego in una vetreria, lavora alla fornace.

La fitta propaganda antiebraica predica il disprezzo e poi l'odio, che entra nella vita quotidiana e distrugge velocemente la convivenza, peraltro non sempre facile, nelle città italiane.

Con lo sbarco degli Alleati in Sicilia e l'avanzata nel Sud Italia, dopo la caduta del Fascismo il 25 luglio del 1943, l' armistizio dell'8 settembre e la costituzione della Repubblica di Salò nel Nord, nella parte di territorio italiano occupato dai Tedeschi, l'Italia diventa teatro di spaventose operazioni di guerra, anche civile. Rastrellamenti, violenze sulla popolazione, eccidi, si susseguono.

Il 5 dicembre del '43 gli Ebrei sono dichiarati nemici dello Stato. La loro persecuzione diventa sistematica, non c'è luogo in cui sia possibile nascondersi.

Migliaia di persone vengono arrestate, concentrate nei campi di Fossoli, San Saba (Trieste) e Bolzano, quindi deportate nei campi di sterminio in Germania.
La persecuzione raggiunge dapprima gli Ebrei stranieri rifugiatisi in Italia oppure, come nel caso dei Beniacar, rimpatriati negli anni precedenti. Ma nessun italiano di religione ebraica è risparmiato dalla fitta operazione di polizia che, sulla base del censimento del '38, di liste meticolosamente compilate dalle Questure e delle numerose delazioni, insegue gli Ebrei nelle loro case, nei luoghi di sfollamento, ovunque sia ancora possibile rifugiarsi.

La guerra intanto non risparmia le città italiane. Molte delle quali, soprattutto i porti, vengono bombardate.
Per sfuggire ai bombardamenti di Livorno del maggio '43, Matilde sfolla con i genitori e i fratellini nella montagna pistoiese, a Borgo a Buggiano. Si sentono relativamente al sicuro. Ma il 25 gennaio sono arrestati su delazione.

Detenuti nel carcere di Pistoia, i Beniacar vengono tradotti dapprima nelle carceri di Santa Verdiana a Firenze e poi a Fossoli, da dove sono deportati, rinchiusi in carri bestiame, con destinazione Aushwitz.
Sul convoglio su cui salgono i Beniacar, tra le più di 600 persone deportate, c'è anche Primo Levi. Tra i prigionieri, altri livornesi tra cui Frida Misul, Sol Cittone e Selma Levi, anch'esse poi sopravvisute al lager e diventate per Matilde amiche inseparabili.

All'arrivo, il 27 febbraio 1944, Matilde sfugge miracolosamente alla selezione che invece non risparmia i familiari. Le viene impresso nel braccio sinistro un numero di matricola: 75670 e viene assegnata ai lavori forzati nel campo di Birkenau per la costruzione di fortificazioni.
Viene poi spostata con altri prigionieri in diversi campi di concentramento: Gusen, Bergen Belsen, Dachau, Buchenwald e infine Mathausen.

La liberazione arriva il 5 maggio 1945, quando l'esercito americano entra nel campo. Lei, insieme ad altri prigionieri è finalmente libera, ma il suo stato di salute è molto compromesso. Viene ricoverata in un ospedale e curata. Torna in Italia con la Croce Rossa Internazionale, passando per il campo profughi di Pescantina.

A Livorno spera di ritrovare qualcuno dei suoi familiari, li cerca ma senza avere più loro notizie. Rimasta sola, cerca una sistemazione, prima presso la locale comunità ebraica poi presso un'amica di infanzia, Giovanna, che la prende in casa.

Comincia da allora per Matilde un lento e difficile ritorno alla normalità. Si sposa con Luciano e ha due figli, Stella e Claudio. Non perde mai la voglia di vivere e di andare avanti, nonostante le difficoltà di tutta la sua esistenza.

Muore a Cecina il 19 dicembre 2016.
E' stata una delle prime testimoni italiane della Shoah.

Matilde Beniacar

Matilde Beniacar da giovane

La lettera B del Censimento degli Ebrei di Livorno, 1938 (presso l'Archivio di Stato)

Scheda di rimpatrio di Matilde Beniacar, 1945

Un volantino propagandista delle Leggi razziali del 1938

La mappa delle "pietre d'inciampo" a Livorno (da Google Maps)

20/01/2018 17.19
Redazione di Met


 
 


Met -Vai al contenuto