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Diocesi di Firenze
L'omelia dell'Arcivescovo di Firenze per il Te Deum
Ringraziamento di fine anno in Cattedrale
Giunti al termine dell’anno civile siamo esortati a prendere coscienza del valore del tempo, delle responsabilità su quello trascorso e delle attese verso quello che ci attende. Per orientarci in questo impegno ci affidiamo a quanto ci suggerisce la parola di Dio, facendo riferimento ai salmi e al cantico con cui abbiamo pregato in questo vespro che ci introduce al primo giorno dell’anno, dedicato dalla Chiesa a celebrare la divina maternità di Maria. Pur scelte per celebrare il mistero di come una donna è stata scelta per generare nel tempo il Figlio di Dio, in queste preghiere non mancano indicazioni su come, nella fede, dobbiamo considerare il tempo che viene consegnato alla nostra vita di discepoli del Signore.
Il primo richiamo ci è giunto dal Salmo 112, ed è riconoscere che tutto il tempo, «dal sorgere del sole al suo tramonto», ha Dio come unico Signore, per cui il primo atteggiamento che ci è chiesto è quello della lode: «sia lodato il nome del Signore» (Sal 112,3). All’uomo che pensa di essere artefice di sé stesso, padrone della propria esistenza, inventore del proprio futuro, viene ricordato che sopra ogni vita e sopra ogni storia c’è Dio: «Su tutte le genti eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua gloria» (Sal 112,4). La consapevolezza del limite, che sempre più sfugge al pensiero e all’agire del nostro mondo, è invece un richiamo a un sano realismo; una consapevolezza che non va confusa con un sentimento di frustrazione, perché chi è sopra a noi non vuole schiacciarci, ma si volge a noi con gesti di amore e di misericordia: «Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero» (Sal 112,7).
Questa è la storia umana nello sguardo della fede, un cammino che è sotto lo sguardo di Dio e si nutre della sua predilezione verso gli ultimi. Sono queste le coordinate che ci permettono di valutare e di orientare la nostra vita.
La signoria di Dio sul mondo si estende fino a dare forma salda alla convivenza umana, ai rapporti sociali che, fondati su Dio, diventano capaci di generare ordine, giustizia e pace, una città ideale. Tutto questo si racchiude dietro l’esortazione del salmo 147: «Celebra il Signore, Gerusalemme, loda il tuo Dio, Sion, perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte, in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli. Egli mette pace nei tuoi confini e ti sazia con fiore di frumento» (Sal 147,1-3). E poi il seguito del salmo ci ha invitato a prendere atto che questa ricomposizione sociale è legata all’accoglienza della parola di Dio, il dono che Dio fa all’umanità e che sola è in grado di rigenerare il mondo, la cui testimonianza egli affida al suo popolo per l’intera umanità.
Dimensione personale e vita sociale scorrono nel tempo sotto la signoria di Dio. Il cantico, tratto dalla lettera di Paolo agli Efesini, ci aiuta a comprendere come Dio esercita nel tempo la sua signoria sull’umanità. Siamo stati invitati a lodare Dio benedicendolo in quanto egli ha effuso la sua benedizione su di noi: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (Ef 1,3). La storia, il nostro tempo sono la scena su cui Dio effonde i suoi benefici. La storia comincia da qui, dall’amore di Dio e non dai nostri sforzi, e resta avvolta in questo amore. Il cantico ci aiuta a riconoscere i tempi dell’amore di Dio: la sua scelta, la sua chiamata, all’esistenza anzitutto e fino a farci figli adottivi; la grazia della redenzione che ci viene donata in virtù del sacrificio di Cristo, del suo sangue; infine, la rivelazione del mistero della volontà di Dio che è «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose» (Ef 1,10), riassumendo e rinnovando in lui l’universo, ripristinando quell’ordine delle origini che il peccato aveva infranto, riportando l’uomo alla sua integrità.
Entrare in questo disegno significa dare un senso alla storia, quel senso che i nostri desideri e i nostri sogni non riescono a dare. Essi infatti sono continuamente contraddetti dall’esperienza del male che accompagna il cammino degli uomini. E l’anno che ora si chiude non ha mancato di essere segnato profondamente da questa esperienza del volto oscuro della realtà. Essa ha preso anzitutto le forme orribili della guerra, in Ucraina e in tanti altri paesi del mondo, travolgendo la vita inerme di fanciulli, ragazzi, giovani, uomini e donne, obbedendo alle logiche cieche del dominio e del potere. Ma pesano sulla storia di questo anno anche le distorsioni ideologiche che negano i diritti delle persone, non rispettano la dignità della donna, schiavizzano i deboli nella tratta delle persone, erigono barriere al desiderio di chi cerca una vita buona nella migrazione, tollerano le condizioni inumane delle carceri, lasciano i deboli ai margini della vita sociale, lasciano che le coscienze siano annebbiate da una comunicazione che mistifica la verità.
Eppure, nel riconoscere quante ferite l’umanità abbia subito nei giorni trascorsi, non dobbiamo però tacere che nel nostro mondo sono pur presenti segni di vita buona. Tra noi c’è chi ha accolto il dono di Gesù e si è lasciato da lui trasformare ed è testimone di una vita vera. Sono persone che, pur con le loro contraddizioni, ci dicono che un mondo migliore – quello che ci auguriamo per l’anno che viene – è possibile. Sono le coppie che seppur in mezzo a mille difficoltà accolgono una nuova vita; chi si prende cura fra tante fatiche degli ammalati, anche in condizioni di estrema disabilità, in fase terminale di vita; chi nei luoghi di cura porta non solo professionalità ma anche umanità; chi si spende con correttezza e dedizione nel suo lavoro e aiuta, ha una parola buona per il prossimo; gli insegnanti che hanno a cuore la formazione dei ragazzi alla vita; i volontari impegnati nelle varie associazioni di cui è ricca la nostra società civile; i sacerdoti che ogni giorno non lesinano ascolto e sostegno alla gente; chi non è indifferente all’altro… e l’elenco potrebbe continuare. La speranza del mondo trova semi buoni sparsi nel tempo. Diffonderli e farli crescere è il nostro impegno nei giorni che ci attendono.
La meditazione sul tempo che scorre non può non soffermarsi, in questo momento, anche accanto al Papa emerito Benedetto XVI, che oggi ha lasciato questo mondo per il suo incontro con il Padre nella vita eterna. Per lui si è fermato il succedersi dei giorni e ora vive nella pienezza del tempo, nell’eterno oggi di Dio. Rendiamo anzitutto grazie a Dio per averci donato questo umile pastore, profondo maestro della verità cristiana, mite e premuroso verso tutti, servitore della Chiesa nell’esercizio del ministero petrino come anche nel gesto innovatore della rinuncia. Lo accompagna all’incontro con il Padre la nostra preghiera e viviamo anche questo momento illuminati dalle parole con cui egli esortava «ad accettare la finitezza di questa vita e mettersi in cammino per giungere al cospetto di Dio… Pensando sempre che la fine si avvicina… L’importante non è immaginarselo, ma vivere nella consapevolezza che tutta la vita tende a questo incontro» (Benedetto XVI, Ultime conversazioni (a cura di P. Seewald), Milano, Garzanti, 2016, pp. 224-225). Così egli ha fatto, così siamo chiamati a vivere anche noi.
Sta qui il segreto con cui affrontare il tempo che passa, il succedersi degli anni: riconoscere che il suo scorrere ha una meta sicura che sono le braccia di un Padre che ci attende per circondarci del suo amore eterno. È una convinzione di fede che vogliamo condividere con un Papa che ha fatto del servizio alla verità il senso stesso della sua vita nella Chiesa e per la Chiesa.

Giuseppe card. Betori

01/01/2023 20.18
Diocesi di Firenze


 
 


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