Diocesi di Firenze
Pasqua. Il Card. Betori: "Non ci si dica che saranno le guerre a portare la pace"
"E' invece solo l’aspirazione e l’impegno per la pace a poter porre fine alle guerre". "Troppi i segni che mostrano come distaccarsi dal Risorto e dal suo potere sulla morte, conduce a esiti che minacciano l’esistenza stessa dell’umanità. Questo vale anzitutto per le guerre che dividono i popoli, a cominciare dall’aggressione di cui è vittima il popolo ucraino e dal conflitto che oppone nella Terra Santa i due popoli che traggono origine dallo stesso padre, Abramo"
Omelia dell'Arcivescovo di Firenze Card. Giuseppe Betori.
Cattedrale di Santa Maria del Fiore. 31 marzo 2024. Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore
Letture: At 10,34-37; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9
"Al centro del modo fiorentino di celebrare la risurrezione del Signore c’è il gesto con cui l’arcivescovo trae dal cero pasquale il fuoco che sprigiona la sua virtù fino a far risplendere di luce il carro. È un gesto che esprime in modo significativo il senso del ministero del vescovo, e della Chiesa, nella città: portare luce nella vita degli uomini e delle donne di questa terra, traendo questa luce dalla persona di Cristo, il risorto, di cui è simbolo il cero pasquale. È per me ogni volta una profonda emozione, ma anche un esigente richiamo a essere fedele alla missione che mi è stata suo tempo affidata.
La missione scaturisce da un riconoscimento che si fa subito annuncio, cioè la presenza tra noi di Cristo vivente. Quanto abbiamo ascoltato dalla pagina del vangelo di Giovanni è fondamentale. Cristo è davvero risorto e questa non è la proiezione di un’attesa, di un desiderio. Né Maria di Magdala né i primi discepoli si attendevano di trovare vuoto il sepolcro che aveva accolto il corpo del crocifisso. Maria va lì a piangere il Maestro morto e resta talmente stupita dal vedere il sepolcro aperto al punto da supporre che qualcuno abbia trafugato il cadavere. I due discepoli corrono a vedere ma non riescono a interpretare i segni della risurrezione, «i teli posati là, e il sudario […] avvolto in un luogo a parte» (Gv 20,6-7), un ambiente ordinato che nega l’ipotesi di un trafugamento.
Per capire, osserva l’evangelista, occorre proiettare questi segni nell’orizzonte della parola di Dio, la Scrittura; ed è quanto farà Gesù stesso nelle successive apparizioni. Intanto, però, ci viene indicata una via breve alla fede, che non smentisce quella ordinaria – segni, apparizioni e Scrittura –, ma la indirizza e ne lascia presagire gli esiti: è la via dell’amore, dell’accoglienza in noi dell’amore di Gesù. È quanto accade all’«altro discepolo, quello che Gesù amava» (Gv 20,2); e dal momento che non possiamo pensare che Gesù faccia disparità tra i suoi, dobbiamo guardare a questo discepolo come al simbolo di ogni discepolo che si sia lasciato trasformare dall’amore di Gesù.
Tutto questo per dare fondamento alla nostra fede, quella che abbiamo sentito proclamare da Pietro nella prima lettura: «Dio ha risuscitato [Gesù] al terzo giorno, […] egli è il giudice dei vivi e dei morti, […] chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,40.42.43). Una fede ben fondata a riguardo della risurrezione del Signore è lo snodo decisivo della storia e la prospettiva luminosa che ci permette di guardare con speranza alle nostre vicende umane.
Perché di speranza abbiamo bisogno per non perderci nel cammino, quello nostro e quello dell’umanità, che registra nei nostri tempi prospettive di novità ma anche persistenti segni di fragilità. Occorre uno sguardo disincantato su quella piazza dell’universo in cui esplode la luce del Risorto, con la consapevolezza che quanto più avanziamo nella conoscenza e nella trasformazione del mondo, tanto più cresce la responsabilità di chi in Cristo e nel suo Vangelo ha incontrato un orientamento di vita e ne deve far partecipi gli altri.
Sono troppi i segni che mostrano come distaccarsi dal Risorto e dal suo potere sulla morte, conduce a esiti che minacciano l’esistenza stessa dell’umanità. Questo vale anzitutto per le guerre che dividono i popoli, a cominciare dall’aggressione di cui è vittima il popolo ucraino e dal conflitto che oppone nella Terra Santa i due popoli che traggono origine dallo stesso padre, Abramo. E non ci si dica che saranno le guerre a portare la pace, quando è invece solo l’aspirazione e l’impegno per la pace a poter porre fine alle guerre. E come tendere a questo, se non a partire dal ribaltare la logica del dominio in quella dell’amore e del perdono? Questo è il mondo nuovo che Gesù porta con la sua persona e con il suo insegnamento.
Non meno preoccupante per noi è poi la constatazione di come il rapporto tra l’uomo e la natura vada riequilibrato se non si vuole passivamente assistere all’estinzione dell’uno e dell’altra. Non si tratta di negare la specificità del genere umano tra le creature del mondo e nello stesso ambiente, ma di articolare la specificità dell’essere uomini e donne in una responsabilità di custodia e di promozione.
La stessa centralità della persona umana va oggi salvaguardata a fronte degli sviluppi che il mondo digitale ci sta prospettando, un mondo in cui l’ampliamento delle conoscenze e della loro operabilità deve fare i conti con la salvaguardia degli spazi della coscienza e della libertà, nella consapevolezza che l’intelligenza artificiale non sarà mai un’intelligenza umana. Perché se gli algoritmi prenderanno il sopravvento sulla possibilità di scelta, allora la logica della quantità prenderà tristemente il sopravvento su quella della qualità, e soffrirne saranno anzitutto i più poveri.
Un ultimo cenno meritano anche le problematiche connesse alla convivenza umana nelle dimensioni sociali, economiche, politiche, educative e culturali. Non possiamo non preoccuparci per il futuro di una società in cui cala inesorabilmente il tasso di natalità; la famiglia viene dimenticata da parametri socio-economici individualisti; la casa è un bene per molti inaccessibile, in specie per i giovani, e la diminuzione dei residenti rende di fatto impossibile dare forma a un tessuto sociale davvero umano; il lavoro è segnato da incertezza e perfino non garantito nella salvaguardia della vita; la situazione nelle carceri continua a non stare a cuore a chi avrebbe il dovere di farne luoghi non di pena ma di redenzione; il pur doveroso confronto sociale fatica a trovare i necessari punti di incontro e di condivisione, succube delle logiche del consenso e del potere, a scapito della ricerca del bene comune, come anche dei ricatti di una cosiddetta controcultura che cancella la storia, pone veti a chi pensa in modo diverso, nega di fatto la libertà; e , infine riemerge con forza una cultura che vuole illudere di porsi dalla parte della vita – quella degna, dicono, stabilita con criteri di evidente soggettività – procurandone la morte e non facendosi carico della cura.
Su questo mondo e le sue contraddizioni la luce di Cristo si manifesta come un principio in grado di offrire un orientamento per indicare strade di bene alla nostra città e al mondo. Quella luce non può esaurirsi in uno scoppio, tanto meno di un carro, ma necessita di continuità operosa, esige di risplendere in ogni nostro agire quotidiano. È l’augurio pasquale che formulo per me e per tutti voi.
Giuseppe card. Betori"
01/04/2024 18.20
Diocesi di Firenze