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Redazione di Met
Un Giglio più africano. Il saluto di Gambelli al termine della Messa in cattedrale
Presenti i vescovi e i fedeli del Ciad, dove il nuovo vescovo ha operato come missionario
Cari Fratelli e Sorelle,
La Provvidenza del Signore ha voluto che la data della mia ordinazione episcopale e del mio ingresso in diocesi coincidessero con la festa di San Giovanni Battista.
Il Vangelo ci ricorda che Giovanni è più che un profeta, non solo perché vede con i suoi occhi il Messia e lo indica presente nel mondo, ma anche perché si fa precursore di tutti coloro che si lasciano interrogare da Gesù sul senso della vita, lasciando che la risposta a questa domanda, plasmi la loro identità più profonda. Giovanni, il cui nome significa “il Signore fa grazia” continua ad aiutarci a preparare la via del Signore Gesù, accogliendo la logica nuova del Vangelo ben riassunta nelle parole del canto di offertorio della Messa di oggi: “Fa che impariamo Signore da te, che più grande è chi più sa servire, chi s’abbassa e si sa piegare, perché grande è soltanto l’amore”. Un proverbio africano dice che “il vento spezza ciò che non sa piegarsi”. La fede nel Signore morto e risorto per la nostra salvezza nutre la nostra speranza nel suo ritorno glorioso e questo ci rende attenti ai segni dei tempi, per collaborare sempre più docilmente con l’azione dello Spirito Santo.
Al momento della nascita di Giovanni, l’evangelista Luca ci dice che tutti coloro che udivano la notizia si interrogavano in cuor loro: “Che sarà mai questo bambino?”. Potremmo oggi parafrasare: “Che sarà mai questo vescovo?” e anch’io, pur conoscendo la mia Diocesi, mi pongo la domanda: “Che saranno mai i fratelli e le sorelle alle quali il Signore mi invia?”.
Mi viene in mente una bella storia. C'era una volta un uomo seduto ai bordi di un'oasi all'entrata di una città del Medio Oriente. Un giovane si avvicinò e gli domandò: “Non sono mai venuto da queste parti. Come sono gli abitanti di questa città?”. Il vecchio gli rispose con una domanda: “Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”. “Egoisti e cattivi. Per questo sono stato contento di partire di là”. “Così sono gli abitanti di questa città”, gli rispose il vecchio.
Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all'uomo e gli pose la stessa domanda: “Sono appena arrivato in questo paese. Come sono gli abitanti di questa città?”. L'uomo rispose di nuovo con la stessa domanda: “Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”. “Erano buoni, generosi, ospitali, onesti. Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a lasciarli”. “Anche gli abitanti di questa città sono così”, rispose il vecchio. Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all'abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si allontanò, si rivolse al vecchio in tono di rimprovero: “Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?”. “Figlio mio”, rispose il vecchio, “ciascuno porta il suo universo nel cuore. Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui. Al contrario, colui che aveva degli amici nell'altra città troverà anche qui degli amici leali e fedeli. Perché, vedi, le persone sono ciò che noi troviamo in loro”.
Proseguiamo il nostro cammino mettendo sempre più Gesù al centro della nostra vita, così sapremo riconoscerci come fratelli e sorelle e saremo testimoni credibili nel mondo della gioia del suo amore.
L’evangelista Luca ci dice che Elisabetta e Zaccaria, negli ultimi tre mesi precedenti alla nascita di Giovanni, hanno avuto la grazia della visita di Maria. Nel Nuovo Testamento la figura di Maria è spesso presentata come un’immagine della Chiesa. Posso dire con tutta sincerità che questi due mesi di preparazione all’ordinazione episcopale sono stati per me un tempo di grazia in cui ho fatto esperienza della vicinanza di Maria nella mia vita, attraverso la preghiera di tanti fratelli e sorelle che mi hanno sostenuto. Nel ringraziamento per questo aiuto ricevuto attraverso la vicinanza e l’affetto, penso di poter includere tante persone, in particolare i miei genitori, i miei familiari, i membri dalla famiglia di Dio che è la Chiesa soprattutto i confratelli preti, i consacrati e le consacrate, i diaconi, i seminaristi, così come i fratelli e le sorelle di altre confessioni cristiane e di altre religioni.
Ringrazio il Cardinale Giuseppe Betori per la sua generosità e saggezza nel ministero episcopale, particolarmente in questi 16 anni come pastore della nostra diocesi e per la sua delicatezza nell’accompagnarmi ad assumere l’incarico come suo successore. Grazie al Cardinale Bassetti che mi ha accolto in seminario nel 1989, al Cardinale Antonelli e al Cardinal Simoni per la loro presenza e il loro servizio a Firenze. Ringrazio tutti i Vescovi presenti, particolarmente quelli della Toscana, che mi hanno manifestato fin dall’inizio vicinanza e sostegno fraterno. Un grazie speciale ai Vescovi che vengono da altre regioni, da altre nazioni e soprattutto da altri continenti, in particolare quelli provenienti dall’Asia e dall’Africa. La presenza di quattro Vescovi ciadiani, insieme a Monsignor Henri Coudray, Vicario Apostolico emerito di Mongo, di numerosi preti e di alcuni laici di queste giovani Chiese, mi riempie di gioia e di commozione. Il Cardinal Piovanelli amava dire di aver fatto l’Università come parroco a Castelfiorentino. La mia Università è stata il Ciad; vorrei rivolgere attraverso di voi i mei più vivi ringraziamenti a tante persone della vostra nazione che, forse senza nemmeno saperlo, mi hanno formato, aiutandomi a capire la bellezza e la forza del Vangelo.
Saluto e ringrazio le autorità civili e militari, gli esponenti delle istituzioni, del mondo della politica e della cultura, in particolare i sindaci dei comuni della nostra Arcidiocesi.
Un ringraziamento particolare all’Opera di Santa Maria del Fiore e a tutti quanti si sono adoperati perché questa celebrazione si realizzasse nel migliore dei modi, e così è stato nel rito, nel canto, nell’accoglienza delle persone, nei servizi più vari, senza dimenticare quello svolto dai giornalisti e dagli operatori dei media.
Rivolgo un pensiero a quanti non hanno potuto essere presenti fisicamente alla celebrazione di oggi, ma che sono in comunione di preghiera con noi, in particolare i preti fidei donum della nostra Diocesi, i malati, le monache di clausura. Un saluto pieno di affetto e di amicizia ai detenuti della casa circondariale di Sollicciano, a quelli qui presenti e a quelli che ci seguono attraverso la diretta streaming.
La gratitudine si rivolge infine e soprattutto al Santo Padre, presente tra noi con la sua benedizione. Nel suo discorso pronunciato proprio in questa Cattedrale il 10 novembre 2015, papa Francesco ci aveva lasciato un’immagine che mi piace riprendere: quella della medaglia spezzata a metà che le mamme consegnavano insieme ai neonati allo Spedale degli Innocenti. E ci ricordava: “Noi abbiamo l’altra metà. Perché la Chiesa madre ha in Italia metà della medaglia di tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati”. Quelle parole del papa, così importanti per tutte le diocesi italiane, lo sono in particolare per noi perché ci "riannodano" alla nostra tradizione più profonda e feconda. Parlo di quell'umanesimo che dopo la distruzione morale e materiale provocata dalla dittatura e dalla guerra seppe rifiorire facendo della nostra città un laboratorio di giustizia sociale e di pace fra le nazioni. Come Chiesa fiorentina continueremo ad attingere a quelle radici per alimentare - in dialogo fattivo con tutti - quel nuovo umanesimo cristiano che consiste nel fare nostri i sentimenti di Cristo (Fil 2,4).
Come dice il papa, infatti, "Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù".
Maria, madre di Gesù e madre nostra aiutaci ad accogliere il tuo Figlio perché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo.
J’adresse mes salutations et mes remerciements à tous mes frères et sœurs tchadiens, en particulier à ceux et celles qui sont ici présents : les évêques les prêtres et les laïcs qui ont fait un long voyage pour participer à cette célébration, à tous ceux et celles qui nous suivent à travers les réseaux sociaux ou qui sont en communion de prière avec nous. J’espère pouvoir bientôt vous rendre visite au Tchad et je m’engage comme Archevêque de Florence à poursuivre notre coopération missionnaire pour le bien de nos Eglises. Merci et que Dieu vous bénisse.

24/06/2024 16.05
Redazione di Met


 
 


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