Non-profit in provincia di Firenze
L'ANED, riunita a Mauthausen in occasione dell'ottantesimo anniversario della liberazione del Campo, diffonde un appello letto dal presidente Dario Venegoni a nome dell'intero Consiglio nazionale
In questo luogo che vide morire nel giro di pochi mesi la grande maggioranza degli italiani che vennero deportati qui dal fascismo e dal nazismo; che vide 90.000 uomini provenienti da oltre 50 paesi perdere la vita in un modo degradante, tra violenze e privazioni inaudite; in questo luogo i superstiti liberati dall’Armata americana il 5 maggio 1945 lanciarono un messaggio di pace e di solidarietà tra i popoli, in quel Giuramento che tra poco un gruppo di ragazzi leggerà in molte lingue sul piazzale dell’Appello.
Quel giuramento impegnava allora i superstiti – e impegna oggi noi che vogliamo raccoglierne l’eredità – a lottare contro il fascismo, per la libertà, per la pace, per un mondo di uomini liberi e solidali. Già nel 1945 infatti i superstiti di questo e degli altri lager nazisti avevano compreso che il fascismo si sarebbe potuto ripresentare in futuro, e che il razzismo, le discriminazioni, e persino la guerra non potevano dirsi sconfitti per sempre.
Guardate cosa accade alle donne, a milioni di donne in tutti i continenti, e anche nella nostra “civile Europa”, private di diritti elementari di crescita, di studio, di lavoro, in una parola di libertà e di autodeterminazione.
Oggi ancora nuovi terribili venti di guerra scuotono il mondo, coinvolgendo direttamente addirittura potenze che possiedono nei propri arsenali l’arma atomica.
Un conflitto sanguinoso si combatte sui campi e nei cieli d’Europa, in Ucraina, dove la nuova amministrazione americana punta a strangolare l’aggredito imponendogli la cessione di diritti di sfruttamento minerari in cambio di un aiuto a fare cessare il conflitto.
Un altro terribile conflitto insanguina le rive del Mediterraneo, a Gaza, dove la popolazione è vittima di una guerra nella quale sono sistematicamente violati i diritti all’esistenza di centinaia di migliaia di famiglie, di madri, di anziani, di bambini, in nome della lotta al terrorismo.
La presa degli ostaggi è un crimine di guerra, esplicitamente sanzionato dalla Convenzione di Ginevra. L’assalto del 7 ottobre nella fascia meridionale di Israele ha visto violenze inaudite contro popolazioni pacifiche, con una particolare efferatezza nelle aggressioni alle donne che ancora offende ogni coscienza democratica del mondo. La dirigenza di Hamas si è macchiata di crimini che non potranno mai essere perdonati.
Ma non si può tacere che la distruzione sistematica della quasi totalità delle abitazioni, delle scuole, degli ospedali di Gaza, che era una delle aree più densamente abitate del mondo; i bombardamenti indiscriminati, il blocco di qualsiasi aiuto umanitario per centinaia di migliaia di persone e di bambini affamati e assetati nel nome della guerra ad alcune migliaia di miliziani di Hamas costituiscono crimini contro l’umanità. Sono crimini che giustamente la Corte di Giustizia dell’Aja ha sanzionato e di cui Benjamin Netanyahu e i principali ministri del suo governo saranno un giorno chiamati a rispondere davanti al mondo.
A 80 dalla liberazione dei Lager nazisti si torna a parlare impunemente di deportazioni. Ci sono programmi per deportare in paesi terzi gli immigrati, colpevoli solo di non essere annegati nel Mediterraneo. Ministri di Israele parlano oggi senza ritegno del programma di impossessarsi definitivamente della Cisgiordania e della striscia di Gaza, deportando i palestinesi che da sempre abitano quelle terre.
Da questo Lager, che ha conosciuto il sacrificio di migliaia di ebrei accanto a quello di tanta parte della Resistenza europea, noi dobbiamo confermare l’aspirazione che accomuna tutti gli uomini e le donne di buona volontà: quella di assicurare a Israele il diritto di vivere e di crescere in pace, accanto a uno stato palestinese dove possano finalmente crescere e studiare in pace i bambini e le bambine che oggi stanno morendo letteralmente di fame a causa del blocco degli aiuti. Due stati per due popoli: per quanto oggi possa sembrare remota questa è ancora l’unica soluzione possibile a quel terribile conflitto.
Il giuramento dei superstiti di questo campo ci deve impegnare a muoverci, a chiedere che l’Italia e l’Europa facciano sentire la loro voce, e dicano al presidente Donald Trump e all’attuale governo di Tel Aviv che l’idea del resort di lusso al posto delle case, delle scuole, degli ospedali dei palestinesi offende ogni coscienza civile. Vogliamo esprimere tutta la nostra solidarietà a quanti in condizioni difficilissime anche in Israele e in Palestina si mobilitano contro la guerra di Hamas e di Netanyahu e a quanti rifiutano di prendervi parte. Chiediamo un negoziato che porti alla soluzione dei due stati.
Perché alla fine questo è l’insegnamento che ci viene consegnato da questo luogo, da queste pietre, e soprattutto dai volti e dai nomi degli uccisi che questi monumenti vogliono onorare: che la pace, la libertà, la solidarietà costituiscono l’unica via per la realizzazione delle legittime aspirazioni di crescita e di realizzazione dei popoli del mondo, contro i nazionalismi, le discriminazioni, gli affari dei signori della guerra.
Non siamo soliti usare questi toni nelle nostre commemorazioni davanti a questo nostro monumento. Ma questi non sono tempi normali; il mondo sembra precipitare verso una nuova devastante guerra mondiale dalle conseguenze imprevedibili, che rischia non solo di seminare morte e distruzioni ovunque, ma anche di fare arretrare l’umanità da conquiste di civiltà che troppo frettolosamente abbiamo dato per acquisite.
La pace – che lo ha ricordato incessantemente Papa Francesco, e sembra dircelo nei suoi primi discorsi anche Papa Leone XIV – non deve essere una parola vuota, una mera aspirazione, ma deve tradursi in un impegno di tutte e di tutti, al di là delle diverse posizioni politiche contingenti. Perché, come hanno scritto i deportati di questo campo nel loro Giuramento, solo “La pace e la libertà sono garanti della felicità dei popoli”.
13/05/2025 13.33
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